Più donne uccise e 470mila in più senza lavoro: la “Shecession” in Italia

di Luisa Sbarra

“Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella. Sono state uccise 11 donne in Italia nei primi due mesi di questo anno. Sono state uccise per mano di chi aveva fatto loro credere di amarle. Per mano di chi, semmai, avrebbe dovuto dedicarsi alla vicendevole protezione. Ora siamo di fronte a una dodicesima vittima, un’altra uccisione: quella di Ilenia […] Se si giunge a uccidere una donna, è perché non si rispettano il suo desiderio di libertà e la sua autonomia. Perché ci si arroga il potere di non consentirne le scelte, i progetti, le aspirazioni”.

Comincia così l’intervento del Presidente Sergio Mattarella, oggi al Quirinale, per la celebrazione della Giornata internazionale della Donna, nominando, una ad una, le donne uccise in Italia dall’inizio di quest’anno. Il Presidente definisce tutto ciò un fenomeno impressionante, così come gli aumenti degli episodi di violenza domestica e gli ultimi ed allarmanti dati sull’occupazione femminile. Quest’anno, più che mai, l’8 marzo rappresenta un momento di riflessione sulla condizione femminile.

Esattamente in questo periodo, l’anno scorso iniziava il primo lockdown in Italia e da allora le donne costituiscono la categoria economicamente e socialmente più colpita e danneggiata. I dati dell’Istat riportano che ci sono 470mila donne occupate in meno rispetto al secondo trimestre del 2019, di queste 323mila in meno tra quelle con contratto a tempo determinato. Secondo un’indagine di WeWorld, condotta nel mese di maggio, 1 donna su 2 aveva rinunciato ad almeno un progetto a causa del Covid e il 31% annullava o posticipava la ricerca di lavoro. Inoltre, 1 donna su 2 ha visto peggiorare la propria condizione economica in ogni parte di Italia; la percentuale sale al 63% tra le 25-34enni e al 60% tra le 44-54enni. Ad oggi, 1 donna su 2 si ritiene più instabile economicamente e teme di perdere il lavoro e 3 donne su 10, non occupate, con figli, rinunciano a cercare lavoro.

La crisi innescata dal Covid si sta trasformando in una vera e propria crisi di genere, che rischia di azzerare anni e anni di battaglie femministe, ampliando ancor di più le differenze nel mondo lavorativo tra uomini e donne, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione e la retribuzione. Si è cominciato così a parlare, in tutto il mondo, di Shecession (dalla crasi dei termini inglesi she e recession). Già in condizioni normali, le donne risultano essere ingiustamente sottopagate e ricevono un trattamento differenziato rispetto ai colleghi uomini; per loro accedere a certi incarichi risulta doppiamente faticoso.

I livelli apicali, infatti, sono prettamente ricoperti da persone di sesso maschile, sia nelle imprese pubbliche, che in quelle private. Inoltre, le donne sono vittime di vere e proprie discriminazioni sul posto di lavoro, in forme che, talvolta, rasentano la costrizione e la violenza. Ad essere preoccupanti non sono solo i dati quantitativi, ma anche quelli qualitativi. Si registra un forte aumento dei contratti part-time e degli impieghi a tempo determinato, con una riduzione delle condizioni di conciliazione di vita-lavoro. Infatti, anche all’interno dei nuclei familiari è aumentato il carico di lavoro. Chiuse in casa, alcune donne hanno dovuto destreggiarsi tra lavoro in smart working e didattica a distanza per i propri figli, alle volte in case piccole o con magari non più di un computer a disposizione. Difficoltà si sono riscontrate anche quando è ricominciato il lavoro in presenza, ma le scuole continuavano ad essere chiuse per positività di alunni o docenti.

Tutto ciò ha contribuito a far sì che molte madri rinunciassero al loro lavoro, non potendo gestire entrambe le cose e non potendo lasciare i figli piccoli a casa da soli o non potendosi permettere una baby sitter. La situazione femminile si fa critica anche dal punto di vista sanitario. L’Inail ha rivelato che quasi il 70% dei contagi denunciati sui posti di lavoro riguarda le donne, impiegate soprattutto nel settore sanitario. Questo 8 marzo 2021 assume decisamente una connotazione diversa e nuova per tutte le ingenti conseguenze causate dalla pandemia, ma vuole anche essere un monito per le donne affinché continuino a far valere i propri diritti, a conquistarne di nuovi e a non far retrocedere quelli già ottenuti.

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