Università italiana e giovani: tra mediocrità dei servizi ed emigrazioni di massa

di Annibale Napolitano

Dal prossimo anno a Londra ci sarà un’ottima novità nel panorama accademico britannico: una laurea a metà tra materie umanistiche e scientifiche. L’ateneo si chiamerà London Interdisciplinary School, già dal nome se ne comprende l’approccio di base. L’iniziativa parte da una richiesta dal mondo delle aziende, e proprio dal mondo delle imprese vengono gruppi finanziatori come McKinsey, il gigante multinazionale nel settore della consulenza, e la Virgin di Richard Branson, leader nei viaggi, nell’intrattenimento e nei media. In Inghilterra oggi non è molto chiesta l’iperspecializzazione, quanto la capacità di essere trasversali nelle conoscenze.
Necessaria è l’esigenza di trovare persone che sappiano risolvere “problemi complessi”. La necessità del problem solving sta nella capacità di presentare soluzioni e di lavorare in gruppo, requisiti questi valutati nei colloqui per le selezioni d’ingresso. L’abbattimento delle barriere tra sapere umanistico e scientifico è una realtà in essere da qualche anno in Gran Bretagna.

La classifica del QS Ranking

Un dualismo che, se oltre la Manica viene superato, qui in Italia è ancora lungi dall’esserlo. Londra e il Regno Unito, pur avendo una popolazione di pochissimo superiore a quella italiana, possono annoverare Cambridge e Oxford nella top ten delle migliori università al mondo nel QS ranking. Per trovare la prima italiana, invece, bisogna andare fino alla 36esima posizione, ovvero il Politecnico di Milano, mentre per trovare la seconda università italiana in lizza bisogna arrivare fino alla Sapienza (seconda alla 98esima posizione).

Tra i problemi dell’istruzione e dell’università italiane non si considerano solo quelli delle basse classifiche e della didattica, ma anche l’esborso esorbitante delle tasse universitarie, aumentate negli ultimi 10 anni del 60 %. E le ultime novità che vorrebbero essere introdotte in materie di istruzione dal Parlamento e dal Governo in carica non sono rassicuranti. Al fine di regolamentare le consulenze esterne dei docenti universitari assunti nel pubblico a tempo indeterminato, è nata infatti una proposta di legge di cui è primo firmatario il senatore Mario Pittoni della Lega. La proposta nasce per sanare una situazione che ha visto nel maggio del 2018 indagare ben 411 docenti universitari dopo un lungo lavoro della Guardia di Finanza. La Corte dei Conti individuò su 172 casi un danno erariale per 42 milioni di euro, ritenendo che il limite di guadagno non dovesse essere superiore ai 5mila euro lordi annui, la vicenda fu poi archiviata. La legge 240/2010 (riforma Gelmini) andrebbe in tale senso rafforzata, permettendo l’accumulo di incarichi da parte dei docenti già assunti a tempo indeterminato nelle università statali.
Il senatore Pittoni, già senatore nella XVI legislatura (2008-2013) e depositario di emendamenti della riforma Gelmini con cui era in maggioranza di governo, è già noto alle cronache anche perché promotore del programma di riforma del reclutamento dei docenti, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola statale su base regionale. Ciò in base al principio leghista sempre valido di “prima il nord”.

In uno stato in realtà assai mediocre rispetto a quello che ci racconta il resto dell’informazione tradizionale, l’università e l’istruzione statale del nostro Paese sono destinate ad un declino ancora più cupo. Sommersa tra le boutade dei corsi per esorcismi per insegnanti di religione e i privilegi infiniti della casta dei baroni universitari, di cui un tempo la destra italiana si vantava di voler combattere. Senza contare poi il numero sempre altissimo di giovani italiani laureati e diplomati emigrati all’estero, dove già da tempo esiste un salario minimo orario o mensile.

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