“Un giorno di pioggia a New York”: il miglior Woody Allen dell’ultimo periodo

di Felice Sangermano

Dopo un lungo ritardo, essenzialmente dovuto a questioni di bigottismo (su cui non ci soffermeremo ulteriormente, se n’è parlato fin troppo), abbiamo finalmente potuto vederlo: l’ultimo lavoro di Woody Allen, “Un giorno di pioggia a New York“. Usciti dalla sala, eravamo sognanti, intellettualmente stimolati, cullati da una sensazione calda, come se avessimo visto una delle sue vecchie commedie sofisticate in bianco e nero. Quelle del periodo d’oro. Rimodulata però in chiave moderna. Manhattan 2.0. Paragone esagerato? Forse nemmeno troppo. Una cosa è certa: stavamo per perderci uno dei migliori Allen dell’ultimo periodo.

TRAMA Due fidanzatini del college, Gatsby e Ashleigh, progettano un romantico weekend a New York, ma niente andrà come previsto e i due, dopo una serie di rocambolesche avventure bagnate dalla pioggia, si renderanno conto di non essere fatti l’uno per l’altra.

Ennesima dichiarazione d’amore di Allen verso New York, splendidamente incorniciata dalla fotografia di Vittorio Storaro e dalla scenografia di Santo Loquasto. Due italiani per rappresentare la più americana delle città: una New York bigia, malinconica, romantica e spietata, la cui pioggia perenne accompagna i protagonisti mettendone a nudo tutte le differenze e le incompatibilità prima incubate. Un’acqua che non lava via, ma che svela: come una maglia bagnata lascia trasparire le forme, così la pioggia di New York lascia intravedere la vera anima dei due fidanzatini, che sono molto più distanti di quanti essi stessi pensavano.

Lui, Gatsby (nome certo non casuale), è uno dei classici alter ego alleniani, ennesima variazione sul tema, giovane demodè dallo spiccato estro intellettuale, tormentato, annoiato, insoddisfatto dalla cultura e dalle maschere dell’alta società che rifugge in cerca di nuovi stimoli. Lei, Ashleigh, è una ricca ragazza di provincia, bellissima, sorridente, un po’ ingenua, priva di grosse “complicazioni” interiori, esaltata dalla possibilità di intervistare un regista famoso per il giornale dell’università. Entrambi hanno un debole per New York, ma se Gatsby è innamorato della New York di un tempo, fatta di piccoli e accoglienti locali retrò dove risuonano musiche jazz dal sapore nostalgico, Ashleigh resta invece affascinata dai lustrini, dallo star system, dal lato più contemporaneo e glamour della città, quello dei party, degli hotel di lusso e dei loft alla moda. Il diverso approccio verso la Grande Mela rispecchia il diverso modo dei due di rapportarsi all’amore, all’arte e alla vita in generale.

Entrambi puri all’inizio, così sembra, immersi nei colori forti del campus, ma una volta nella plumbea New York solo Gatsby rimarrà fedele a sé stesso e ai suoi sogni retrò, mentre Ashleigh verrà “rapita” dalla città lasciandosi inquinare dalla sua moderna mondanità. Woody Allen, è lampante, si mette tutto dalla parte di Gatsby. Accusatelo pure di misoginia a questo giro. Del resto, lo aveva già detto chiaramente in Midnight in Paris, il passato ha sempre un sapore speciale. Anche se a volte è un inganno, una mera illusione. Ma nel finale di Un giorno di pioggia a New York lo storico pessimismo di Allen si fa da parte, e allora le illusioni sembrano concretizzarsi, i sogni avverarsi. Se l’Isaac Davis di Manhattan raggiungeva l’illuminazione quando era ormai troppo tardi per distogliere Tracy dalla partenza, Gatsby invece si rende conto in tempo di come stanno veramente le cose e può correre ai ripari. Ci si ritrova così alle 6 in punto sotto la pioggia per un appuntamento mai dato per baciarsi ed amarsi per sempre. Non con Ashleigh (la splendida Elle Fanning), ma con Shannon (l’altrettanto splendida Selena Gomez).

Una pellicola coerente con la poetica alleniana e la sua visione del cinema e della vita. Coerente, non ripetitiva, come pure qualcuno grossolanamente ha detto. Il regista newyorchese guarda al cinema anni ’40, alle vecchie commedie in bianco e nero e alle sue figure, ritoccandole però in chiave moderna. Splendido il gioco di luci che provoca cambiamenti di tono e modifica il senso delle scene. E, se pure il film scorre liscio e gradevole come una favola, la macchina che c’è dietro è in realtà accuratissima. Il pubblico ne viene cullato, non si accorge dello sforzo sottostante. Perché la maestria di un regista è anche questa: far sembrare semplice il suo lavoro. Non è la prima volta per Allen, che resta uno dei registi più sottovalutati dal punto di vista tecnico. La sceneggiatura è al solito vivace, spumeggiante, intelligente, piena di trovate. L’incontenibile genio occhialuto non sembra per nulla invecchiato, dimostrando anzi una freschezza dialogica degna dei tempi migliori.

Cast di altissimo livello: oltre alle già citate Elle Fanning e Selena Gomez, abbiamo Timothée Chalamet (nel ruolo del protagonista Gatsby), Jude Law, Diego Luna e Liev Schreiber, tutti artefici di magnifiche interpretazioni, perché, si sa, gli attori danno sempre il meglio di sé con Woody Allen. Ma in mezzo a tutti alla fine è sempre Woody a giganteggiare sullo schermo, anche se non appare mai.

Correte a vederlo se amate Allen, il cinema in generale o anche solo voi stessi.

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