In fuga dall’Ucraina con un figlio malato, trova aiuto in Italia: “I medici erano tutti impegnati in guerra”

di Nello Cassese

Serena, con il piccolo Gleb mano nella mano. Si presenta così Marina nel centro Elim di Somma Vesuviana quando andiamo a conoscerla per farci raccontare la sua storia, aiutati da Anna, mediatrice culturale anche lei in fuga dalla guerra, che ci aiuta con la traduzione dopo averci raccontato anche la sua storia di rifugiata. Operatrice della Caritas, Marina è scappata dalla guerra in Ucraina ed è stata accolta proprio dalla Caritas italiana. E qui, in Italia, ha trovato anche sostegno per il figlioletto, malato di spina bifida e in fuga con lei. In Ucraina, con gli ospedali pieni di feriti e spesso semi distrutti, i medici avevano così tanto lavoro da portare a termine che il piccolo Gleb non poteva portare avanti il suo percorso di cure. In Italia, a Napoli, invece Marina ha trovato i medici dell’Ospedale Santobono che l’hanno aiutata ed hanno iniziato un importante percorso di cura per il figlioletto. Nel frattempo, grazie alle sue conoscenze del mondo Caritas, dal Nolano si è riuscito a creare un canale diretto e pulito per comprendere senza fraintendimenti le reali esigenze dei cittadini ucraini in fuga.

Mio figlio si chiama Gleb, ha una malattia rara che richiede l’intervento chirurgicoracconta MarinaAvevamo medici in Ucraina, ma purtroppo sono stati costretti ad andare in guerra e siamo venuti qui perché l’Italia ha un ottimo sistema sanitario. Gleb ha compiuto da poco 10 anni. La maggior parte della nostra famiglia è rimasta in Ucraina, i miei genitori, lo stesso papà di Gleb“.

Inizialmente è stato difficile adeguarsi a questa realtà, non conosciamo l’italiano, non abbiamo amici e parenti qui, ma ora è tutto diverso, Gleb ha incontrato bambini ucraini – racconta ancora Marina – Tuttavia, noi non vediamo l’ora di tornare a casa. Sono una psicologa, lavoro per la Caritas nel centro di riabilitazione per bambini speciali, bambini con autismo e disturbi della condotta, ma dopo la guerra la Caritas si è dovuta adeguare e abbiamo iniziato ad aiutare tutti bambini che hanno bisogno“.

Siamo andati in Italia in autobus – ci rivela – il viaggio è durato più di 40 ore, abbiamo attraversato diversi paesi nel Europa. Siamo costantemente in contatto, mandiamo video, messaggi. Dove abitiamo ci sono molti migranti, ma grazie a Dio tutto è tranquillo rispetto ad altre città dell’Ucraina“.

Qui in Italia mi è piaciuto tutto, sono rimasta sorpresa dal fatto che ci siano molte attività per bambini, come ad esempio la dog terapia, il disegno, tutte attività che fanno in modo che i bambini non pensino alla malattia ma sono più felici. Speriamo davvero che la guerra finisca presto – conclude – Noi sicuramente torneremo a casa, lì Gleb va a scuola, io ho il mio lavoro. Credo che non aspetteremo la fine della guerra, cercheremo di tornare a casa prima. Ho tanti conoscenti che sono ora in Europa e tutti vogliono tornare a casa“.

Quando le bombe cadono e spazzano vie corpi, storie e mattoni, spetta agli uomini ricostruire valori e vite. Da Somma Vesuviana un segnale di accoglienza vera, di integrazione efficace e di umanità genuina. La guerra non potrà mai essere la risposta, la condivisione sarà invece sempre la via più corretta da seguire. Buona vita Marina e Gleb.

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