Cantami, o diva, del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei… Così comincia, nell’illustre traduzione di Vincenzo Monti, l’Iliade, uno dei poemi epici più maestosi dell’antichità, ambientata ai tempi della guerra di Troia e tradizionalmente attribuito al cantore cieco Omero. Con un “piccolo” salto temporale di più di 3000 anni, abbandoniamo l’Ellesponto del 1250 a.C. e spostiamoci alla Hollywood del 2004, anno in cui esce in sala il film Troy, liberamente (molto liberamente) tratto dal poema omerico, per la regia del tedesco Wolfgang Petersen (il regista de La storia infinita, 1984).
Trama Paride, giovane principe troiano, rapisce Elena, moglie del re spartano Menelao, provocando la guerra tra Troia e tutte le città stato della Grecia, riunite sotto il comando di Agamennone, re di Micene e fratello di Menelao. Fra gli eroi convolti nella battaglia spiccano i valorosi Ettore e Achille, che si affrontano in un duello a viso aperto sulla piana di Troia, da cui uscirà vincitore Achille, rabbioso per la morte dell’amato cugino Patroclo. Ciononostante le alte mura di Troia sembrano inespugnabili e l’esercito acheo è costretto più volte a battere in ritirata. Il conflitto, le cui sorti sembrano arridere ai troiani, si risolverà infine a favore dei Greci, grazie al famoso stratagemma del cavallo di Troia elaborato da Ulisse, l’eroe più scaltro fra tutti quelli scesi in battaglia.
Petersen imbastisce un colossal epico che vanta un cast stellare: fra gli altri, Brad Pitt (Achille), Orlando Bloom (Paride), Eric Bana (Ettore), Peter O’Toole (Priamo), Sean Bean (Ulisse), Diane Kruger (Elena), Brendan Gleeson (Menelao) e Brian Cox (Agamennone). Certo, i mezzi non mancano, come testimoniano le maestose scenografie e il largo uso di dispendiosi effetti speciali. Ma, si sa, budget e casting sono solo due elementi dell’apparato filmico, sistema assai complesso e stratificato, e se è certo che essi possano giovare alla realizzazione dell’opera, altrettanto indubbio è che da soli non bastano a decretarne la piena riuscita.
Troy punta, in pieno stile hollywoodiano, alla spettacolarizzazione estrema del narrato, snaturando l’essenza del tragico sull’altare del mainstream. Con le sue star patinate e muscolari, la pellicola mira a piacere alla massa, senza mostrare il riguardo dovuto all’originale materiale omerico. A poco valgono le giustificazioni un po’ balbettanti dello sceneggiatore David Benioff (all’epoca già conosciuto per aver scritto La 25ª ora, e in seguito consacratosi per le sceneggiature de Il cacciatore di aquiloni e Il Trono di Spade), il quale, di fronte alle critiche scatenatesi all’uscita della pellicola, dichiarerà di aver anteposto “il bene del film” al rispetto di Omero. Come se fosse impossibile tenere le due cose insieme.
Chiariamolo fin da subito: non si tratta di questioni di lana caprina, sulle quali si sarebbe potuto chiudere un occhio. Troppe e troppo grosse sono le discrepanze col mito, che viene piegato alle dinamiche commerciali del mercato cinematografico, con relativo emendamento di alcuni aspetti ritenuti scabrosi (come l’amore omosessuale di Achille per Patroclo, che nel film vengono presentati come semplici cugini) e accentuazione opportunistica di altri (come la storia d’amore tra Achille e Briseide, ben diversa e molto più amplificata rispetto alle vicende di Omero).
Ciò che ne consegue è una deprivazione di significati e un marcato manicheismo assolutamente estraneo al mito, con Agamennone e Menelao che vengono presentati a tutti gli effetti come “i cattivi”, gli antagonisti della storia, laddove nel poema omerico essi risultano personaggi per lo più positivi. Pesante anche la scelta di non mostrare l’elemento divino che invece risulta costante e decisivo nell’Iliade, a partire dall’antefatto che provoca l’inizio delle ostilità: l’Elena cinematografica, profondamente infelice del suo matrimonio con Menelao, si innamora di Paride e fugge con lui da Sparta, laddove invece l’Elena omerica è profondamente innamorata di suo marito e viene indotta ad amare Paride solo per via dell’intervento di Afrodite, la quale ai tempi del pomo della discordia aveva promesso al giovane troiano l’amore della donna più bella del mondo. Non ci soffermiamo ad analizzare le altre divergenze rispetto alla mitologia, perché abbiamo famiglia e a un certo punto dobbiamo pur tornare a casa. Ciò che ne risulta, alla fine, è una rilettura o meglio uno stravolgimento dell’Iliade a misura del grande pubblico hollywoodiano. In sostanza, “la solita americanata” confezionata in maniera spettacolare, ma povera di contenuti.
Petersen dirige senza particolari sbavature un film che se non si chiamasse Troy avrebbe anche il suo perché. In due parole? Occasione sprecata.