“Dai la cera… Togli la cera” è una frase tanto semplice quanto evocativa per il cuore di chi oggi oscilla fra i 30 e i 40, ma che negli anni ’80-’90 non aveva ancora superato i 18 anni.
Per vincere domani – The Karate Kid (The Karate Kid) è un film del 1984 diretto da John G. Avildsen. La pellicola è il primo capitolo di una saga cinematografica che comprende 3 capitoli ufficiali più un sequel-reboot ed una serie televisiva. Gli interpreti principali del film sono Ralph Macchio (Daniel LaRusso), Noriyuki “Pat” Morita (Maestro Kesuke Miyagi), Elisabeth Shue (Eli Mills), Martin Kove (Sensei John Kreese), William Zabka (Johnny Lawrence), Israel Joarbe (Freddy Fernandez), Chad McQueen (Dutch), Randee Heller (Lucille LaRusso) e William Bassett (Sig. Mills). Prodotto con un budget di 8 milioni di dollari il film ha incassato nei soli USA oltre 90 milioni, risultando un successo anche per la critica e vantando fra i riconoscimenti due nomination “Miglior attore non protagonista” a Pat Morita, rispettivamente, agli Oscar 1985 e ai Golden Globe dello stesso anno.
TRAMA Daniel LaRusso è un sedicenne americano di origini italiane che si trasferisce con la madre dal New Jersey alle coste della California. Il giorno del loro arrivo il giovane fa amicizia con un coetaneo latinoamericano, Freddy Fernandez, e conosce l’addetto alla manutenzione del loro appartamento, l’anziano, gentile, umile ed eccentrico immigrato da Okinawa Kesuke Miyagi. Quella sera stessa, durante una festa sulla spiaggia, conosce e si innamora, ricambiato, della bionda ed attraente Ali Mills, cheerleader della scuola superiore di Encino. Ma in quell’occasione si imbatte anche nel rabbioso ex-ragazzo di lei, Johnny Lawrence, il miglior studente di un dojo di karate chiamato “Cobra Kai”, diretto dal perfido sensei ex-militare John Kreese. Da quel momento per il giovane Daniel la vita diventa una spietata lotta per la sopravvivenza agli atti di bullismo da parte di Lawrence e dei suoi compagni. Sarà l’inaspettato aiuto da parte del signor Miyagi, esperto di karate, ad aiutare il giovane a trovare la forza di superare le sue difficoltà attraverso memorabili lezioni di vita grazie alle arti marziali.
Lo scopo ultimo del karate non risiede nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei suoi praticanti.
ANALISI DEL FILM Mentre l’azione scorre lenta, lo spettatore scopre la situazione privata del protagonista. Da un lato la madre è convinta di trovare un futuro pieno di speranza e dall’altro suo figlio si ritrova suo malgrado catapultato in un contesto nuovo e solo in apparenza luminoso. Dopo un primo approccio fra trauma iniziale e lento adattamento grazie a nuove amicizie ed a un potenziale nuovo amore, si fa avanti il tragico retroscena rappresentato dai bulli di turno in cerca di una nuova vittima da immolare alla loro smodata prepotenza. La situazione sembra degenerare, nonostante la buona fede della ragazza ricca ma con la testa sulle spalle, quando alla violenza dei coetanei si aggiunge il dissacrante pregiudizio delle classi altolocate contro quelle meno abbienti, soprattutto se italoamericane. Ma, proprio nel momento critico, ecco apparire l’immancabile e insperato aiuto di un improbabile ed eccentrico mentore. Da questo momento, fra esilaranti battibecchi durante l’addestramento, comincia un lento processo di crescita interiore che riporta il giovane allievo verso un riscatto che fino all’ultimo sembrava impossibile da raggiungere.
SAGA, OMAGGI E IMITAZIONI Il grande successo della pellicola ha portato alla creazione di 3 sequel. Il regista ed i personaggi interpretati da Macchio e Morita ritornano nei primi due (Karate Kid II – La storia continua…, 1986; Karate Kid III – La sfida finale, 1989). Nel terzo sequel (Karate Kid 4, 1994) vediamo Christopher Cain dietro la macchina da presa mentre l’onnipresente Maestro Miyagi fa da mentore ad una ventenne Hilary Swank al suo primo ruolo da protagonista sul grande schermo. Un sequel-reboot può ritenersi quello diretto da Harald Zwart nel 2010 (The Karate Kid – La leggenda continua) che ha per protagonista il giovane afroamericano Jaden Smith, figlio della star Will, e come mentore il bravissimo ed irresistibile Jackie Chan. Ma c’è anche uno spin-off, prodotto da Youtube Red, ovvero la serie tv Kobra Kai del 2018 che vede tornare nei propri ruoli, ma da adulti, Ralph Macchio e William Zabka.
Omaggi e citazioni si potrebbero scorgere ovunque, uno fra tutti è un divertente cameo di Pat Morita ancora in versione di mentore – ma in contesto culinario – che istruisce il ragazzo prodigio Jalheel White (Otto sotto un tetto, st. 9-9, ep. 12), indimenticabile nerd pasticcione dal cuore d’oro Steve Urkel (la sitcom attualmente è in replica sul canale satellitare Sky Comedy Central). E si sa, quando il successo è notevole non mancano le imitazioni – in genere non all’altezza dell’originale – che in questo caso hanno il merito di aver riacceso la passione del pubblico per le pellicole di arti marziali dopo la fase d’oro degli anni ’70 dominata da leggende come il compianto Bruce Lee (alcune curiosità su di lui le trovate qui).
Un caso interessante però può considerarsi quello italiano (Il ragazzo dal kimono d’oro, 1987) diretto da Fabrizio de Angelis ed interpretato da un diciottenne Kim Rossi Stuart.
FINZIONE E REALTÀ Il successo del film funzionò anche come veicolo di diffusione del karate e delle arti marziali in generale che, negli USA come nel resto dell’Occidente, grazie a questa pellicola ottennero grande impulso e si svilupparono notevolmente. L’arte marziale nota come karate (lett. “mano vuota”) è nata nelle isole nipponiche di Okinawa dalla fusione di metodi di combattimento indigeni te (lett. “mano” e quindi “tecnica”) con il kenpō cinese e si compone di vari e diversi stili, ognuno derivante da una radice comune. Molti generi hanno avuto origine dalla tōde, disciplina di autodifesa a mano nuda praticata ad Okinawa. Alcune delle tecniche insegnate a Daniel (“dai la cera, togli la cera” – “dipingi steccato”) sono tipiche del Gōjū-ryū, uno dei principali stili di karate di Okinawa. La mossa finale della gru, utilizzata in maniera volutamente spettacolare per fini cinematografici, è invero diversa nell’applicazione ed è caratteristica della scuola Shorei a cui appartiene il suddetto Gōjū-ryū. Lo stesso nome del maestro Miyagi, originario, non a caso, di Okinawa, è un riferimento al maestro Chōjun Miyagi, fondatore dello stile di karate Gōjū-ryū (lett. “scuola della durezza e cedevolezza”) caratterizzato da una combinazione di tecniche dure (Gō) a mano chiusa con attacchi lineari e morbide (jū) a mano aperta con movimenti circolari. Nell’esecuzione maggiore enfasi viene data alla respirazione corretta (dettaglio anche questo citato nel film).
Chōjun Miyagi
Lo stile insegnato nel Cobra Kai si avvicina al Chun Kuk Do (lett. “via universale”), stile di karate ibrido che combina diverse tecniche, fra cui il pugilato, creato ed insegnato da un’altra leggenda delle arti marziali e del celluloide che le ha omaggiate, Chuck Norris.
LA VERA VITTORIA Che cosa hanno in comune un pugile di Filadelfia ed un giovane karateka del New Jersey? Già otto anni prima il regista John Guilbert Avildsen (1935-2017) aveva ottenuto un successo planetario raccontando l’emozionante primo capitolo (Rocky, 1976) della saga che ha reso immortale Sylvester Stallone sul ring del celluloide. La medesima immortalità merita Ralph Macchio che condivide con Sly le origini italo-americane dentro e fuori dal set (entrambi vantano nonni paterni di origine barese) e lo stesso contesto (lo sport di lotta che forgia il carattere).
Le arti marziali del Sol Levante hanno molto da insegnare a chi ha una mente acuta ed un cuore aperto capaci di andare oltre ciò che si vede. E la finzione del celluloide che emoziona grazie ad interpreti impeccabili con musiche suggestive (Joe Esposito, You’re the Best around) è un ottimo stimolo per iniziare. Chiunque può imparare a rinforzare i muscoli attraverso un duro allenamento per puntare alla vittoria. Solo in pochi riescono ad apprendere il potere che risiede nella mente e nel cuore stimolati da piccoli e semplici passi che con dedizione e determinazione forse non ti porteranno al successo ma ti faranno raggiungere una meta migliore: la conquista della fiducia in te stesso.
CULT IMMORTALE