Egregio dottor Castellucci,
dopo dodici mesi di silenzio ed attesa abbiamo deciso di scrivere a Lei che rappresenta il vertice della società che oggi ha “in mano” i nostri destini e quelli della nostra azienda. Siamo i 25 dipendenti di Euronut, la società per azioni che molti oggi conoscono anche per il caso del “cavalcavia 22” della A16 e siamo le principali vittime di una situazione che, nonostante recenti sviluppi apparentemente positivi, rischia di schiacciarci definitivamente. Perché ora abbiamo anche paura di essere abbandonati e dimenticati.
Ci rivolgiamo a Lei per chiedere un intervento finalmente risolutivo. Un anno fa la nostra vita è cambiata. Il cavalcavia 22 che per anni abbiamo attraversato tranquilli è stato sequestrato a causa di problemi strutturali. In pochi, all’inizio, hanno compreso cosa significasse per noi: il viadotto è l’unico percorso possibile per raggiungere la fabbrica, per questo la sua chiusura si è trasformata in un calvario che ha inciso sui nostri ritmi di lavoro e, inevitabilmente, sulle nostre vite e su quelle delle nostre famiglie. Siamo rimasti isolati, tagliati fuori, con pesantissime ripercussioni per una azienda che si occupa di trasformazione delle nocciole e per la quale tempo e rapidità nelle forniture sono fattori centrali che non si possono piegare ad esigenze diverse da quelle della produzione.
Abbiamo completamente rivoluzionato molte delle nostre attività, costretti a veri tour de force per mantenere i livelli di sempre. Dopo i primi giorni di smarrimento, ci siamo adeguati non senza difficoltà alla nuova condizione, reinventando in certi casi il nostro mestiere, affrontando tutti insieme, dalla proprietà agli ultimi assunti, sacrifici e tensioni e facendo i conti per la prima volta con lo spettro della precarietà.
Lei che è manager di una impresa importante e strategica per l’Italia, comprenderà il particolare dramma che stiamo vivendo: da dipendenti di una piccola realtà modello in un Sud Italia martoriato dalla disoccupazione, siamo diventati improvvisamente uno dei tanti, troppi, casi di cronaca della crisi pur essendo un’impresa florida. E ci ritroviamo vittime di una situazione con cui non c’entriamo nulla e che resta difficilissima nonostante i recenti sviluppi.
Da pochi giorni, infatti, grazie anche alla collaborazione che società Autostrade ha avviato con le istituzioni locali, il ponte è riaperto con forti limitazioni. Una soluzione parziale e temporanea che si sta trasformando in una beffa: quella di essere dimenticati da quanti considerano erroneamente chiuso il caso cavalcavia 22 e risolto ed archiviato il nostro dramma. Non è così. Per noi il dramma resta. La situazione non è cambiata per Euronut spa e per questo ci appelliamo a Lei ed alla società che rappresenta per chiedere un intervento che risolva le nostre angosce e risani una situazione che contraddice quella “passione di muovere il Paese” che è il vostro slogan.
A Sperone, presso il cavalcavia 22, il Paese non si muove ma è fermo. Le risorse produttive sono al palo, immobilizzate dalla burocrazia e da vicende processuali su cui non vogliamo né possiamo intervenire ma che possono essere superate in nome dei diritti di chi lavora.
Chiediamo ad Autostrade per l’Italia ed a Lei di onorare la vostra mission, quella di portare sviluppo in ogni angolo d’Italia, e di farlo adeguando il cavalcavia 22 alla normale viabilità . Vi chiediamo di andare oltre le mere vicende giudiziarie e di accogliere l’appello di chi ogni giorno si impegna con dignità e rispetto.
La ringraziamo per averci dato ascolto e ne approfittiamo per invitarLa a Sperone, in località Santa, per parlare con noi, toccare con mano la nostra realtà e comprendere quello che stiamo vivendo. La aspettiamo.
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“Venga a Sperone a comprendere la nostra situazione”. Lo chiedono i 25 dipendenti di Euronut spa all’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci nella lettera che hanno deciso di scrivergli ad un anno esatto dal sequestro del cavalcavia 22 della A16. I lavoratori nella missiva chiedono anche il ripristino del viadotto, senza limitazioni. Dodici mesi dopo il provvedimento di chiusura imposto dalla Procura di Avellino per ragioni di sicurezza, e nonostante il recente parziale dissequestro, l’azienda subisce ancora gravi ripercussioni cui si aggiunge la paura che l’opinione pubblica dimentichi la loro vicenda. Ecco la lettera integrale:
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