Impossibile dimenticare la cruda foto del piccolo Aylan, il bimbo siriano trovato morto sulle coste turche, nei pressi della spiaggia di Bodrum. Una foto simbolica, che purtroppo diversamente da quanto era parso nei giorni seguenti non è risultata essere utile a smuovere le coscienze occidentali e a far scattare un’unione politica efficace contro il dramma ancora in corso. A distanza di sei mesi dall’accaduto i responsabili, per lo meno materiali, di quel viaggio di morte sono stati arrestati e processati in Turchia. Il processo è cominciato l’11 Febbraio e vedeva due scafisti siriani, Muwafaka Alabash e Asem Alfrhad, accusati di aver provocato la morte delle cinque vittime di quel viaggio (oltre ad Aylan anche la madre, il fratello e altre due persone avevano perso la vita), e di traffico di essere umani. L’accusa chiedeva una pena di trentacinque anni. I due trafficanti di essere umani se la sono però cavata con una pena di soli quattro anni e due mesi, poiché ritenuti non colpevoli degli atti di negligenza in mare che avrebbero causato quelle cinque morti. Il padre del piccolo Aylan, miracolosamente sopravvissuto al viaggio e alla sua intera famiglia, vive oggi in Iraq e con questa sentenza ha forse ricevuto un altro brutto colpo.
di Marco Sigillo