Abbiamo tanto di cui indignarci ma non di Silvia Romano

di Francesco Mazzocca

Dopo 18 lunghi mesi di prigionia, Silvia Romano è stata liberata ed è giunta in Italia all’aeroporto di Ciampino, dove ad accoglierla, oltre alla famiglia, c’erano anche le istituzioni che hanno lavorato per ottenere questa vittoria. Perché, a scanso di equivoci e a prescindere da tutto, di vittoria si tratta: salvare una vita umana, sia essa quella di un migrante oppure di un prigioniero, è sempre una vittoria dell’umanità.

Silvia Romano è una ragazza semplice: laureata in mediazione linguistica, ha deciso qualche anno fa di intraprendere la strada della solidarietà recandosi in Africa, dove ha avviato il progetto per la costruzione di un orfanotrofio per ospitare 24 bambini. La volontaria dell’associazione Africa Milele Onlus era alla sua seconda missioni nel continente nero, quando nel novembre 2018 fu rapita in Kenya, in una cittadina a circa 80 km da Nairobi, e poi fu portata in Somalia, paese in cui è stata trovata e liberata. Ad accoglierla sono stati innanzitutto gli applausi dei suoi concittadini alla notizia della liberazione, ma anche gli abbracci dei familiari e il saluto dei rappresentanti delle istituzioni.

Ma la storia di Silvia Romano, come le tipiche storie italiane, è fatta anche di bastian contrari e voci polemiche che hanno sollevato proteste indicibili, avallate da uno sciacallaggio mediatico che ha coinvolto i social e anche qualche organi di informazione. Nonostante Silvia avesse rassicurato tutti di essere stata tratta bene e di non aver subito nessuna violenta, ma soprattutto di essersi liberamente convertita all’Islam, non sono mancate polemiche da parte dei difensori della cristianità occidentale che, ipocritamente, hanno contestato questa sua scelta, addirittura chiedendo di riportarla nel paese in cui è stata trovata. Un’assurdità irrispettosa della libertà di scelta del singolo, della libertà di professare il proprio credo, come sancito dalla Costituzione all’art.19, che fa seguito a tutta l’incredibile serie di strumentalizzazioni che il nostro testo fondamentale ha dovuto subire in questi ultimi mesi, per altre cose.

Gli scettici, inoltre, hanno sollevato polemiche anche su tutta la fase della liberazione che ha coinvolto l’intelligence italiana, accennando anche a una mediazione da parte della Turchia: un’osservazione che, paradossalmente, proviene da chi ha applaudito la scelta del Parlamento turco di affidare pieni poteri a una sola persona. Sulla vicenda del riscatto e sul pagamento sono stati in parecchi a storcere il naso: alcuni organi di stampa parlano di una cifra che si aggira sui 2 milioni di euro, pagata dopo che nel febbraio scorso le autorità hanno avuto la prova che Silvia fosse ancora viva. In realtà non è ancora arrivata alcuna conferma da parte del Governo.

Oltre alle sterili polemiche, chiaramente sollevate anche per semplice contrapposizione politica, una riflessione molto importante, per una vicenda umana fortunatamente conclusasi al meglio, riguarda proprio l’umanità che viene a mancare in questi casi. Un odio che stride con la solidarietà messa in campo dalla stessa Silvia, partita per l’Africa ad aiutare persone che ne avevano bisogno; l’insulto gratuito per una persona semplice, accusata di chissà quale comportamento nefasto, per il solo fatto di aver teso la mano al prossimo; il rifiuto di accettare una verità, quella della libera conversione a un credo differente dal nostro, che decreta un’inutile presa di posizione su aspetti personali sui quali nessuno può giudicare; infine l’offesa alla dignità di una donna, che ha più volte ribadito di essere stata tratta bene e di non aver mai subito violenza.

Quella di Silvia Romano è una vicenda umana molto dolorosa, che andrebbe affrontata con il rispetto che si deve a una persona che ha subito mesi di prigionia: un danno psicologico incalcolabile, inimmaginabile per chi scrive comodamente servendosi di una tastiera. Le illazioni sulle violenze subite e sulle costrizioni, smentite immediatamente dalla stessa Romano, rappresentano il quadro del pensiero comune, quello dell’uomo che perde la sua umanità nelle tragedie, e che dimostra di non avere empatia per il dramma del prossimo. Nel nostro paese sono molti i casi di sperpero di denaro pubblico, di corruzione, di malaffare, che spesso però non suscitano indignazione: un sentimento, quest’ultimo, riversato invece in tutta la sua stupidità sulla questione del pagamento del riscatto, come se la vita umana avesse un prezzo prestabilito, un massimo oltre il quale non poter spingersi.

Una strumentalizzazione che coinvolge anche un altro aspetto, quello delle missioni che i volontari organizzano recandosi nei paese più poveri: pensare di non salvare una vita umana solo perché ci si è spinti in paesi a rischio, e quindi in un certo senso “se l’è cercata”, è assolutamente fuori da ogni logica umana, e anche in contraddizione con i fans dell’aiutiamoli a casa loro.

[FONTE FOTO: Il Fatto Quotidiano]

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