Esposito La Rossa a 360 gradi: “Tutti dovrebbero avere il diritto a perdere, solo così ci si migliora”

di Redazione Zerottouno News

Abiti sportivi e sguardo entusiasta per aver messo piede “in una delle più belle biblioteche per bambini mai viste”. Si presenta così alla libreria Bibì e Cocò di Nola lo scrittore Rosario Esposito La Rossa, editore napoletano e fondatore della libreria di Scampia “La Scugnizzeria“. Prima che cominciasse la presentazione del suo ultimo libro, “Eterni Secondi“, ci ha rilasciato alcune dichiarazioni.

Partiamo subito dal libro: perchè “perdere è un’avventura meravigliosa”?

Vorrei partire da una premessa: noi abbiamo aperto una libreria, “La Scugnizzeria”, che si trova tra Scampia e Melito. Un giorno ci ha chiamato il ministro per la Cultura, Franceschini, dicendoci che veniva a trovarci. Mentre stavamo organizzandoci, ci è arrivata una spedizione con in regalo 50 libri da parte di “Einaudi Ragazzi – Edizioni EL”, che è una delle più grandi case editrici per bambini. A questo punto, dopo “esserci gasati”, ci siamo messi all’opera per scrivere un nostro libro, con le nostre storie. Una volta ultimato, lo abbiamo girato alla Einaudi che però, nonostante inizialmente fosse apparsa molto contenta, ce lo ha bocciato. Per i ragazzi è stata una forte delusione, difficile da smaltire. Dopo le loro frasi ho cominciato a ragionare sul tema della sconfitta, ho raccolto quindi in 24 giorni queste 20 storie, le ho proposte ai ragazzi e poi, di nascosto, per evitare altre ansie, ho proposto il libro ancora ad Einaudi, che questa volta ha accettato. È nato allora questo libro, che è un libro che si avvale di un diritto, il diritto di non essere un campione. Noi vogliamo raccontare questo ai ragazzi: perdere fa parte della vita, non è una colpa, bisogna riconoscere il talento altrui e la sconfitta serve per migliorarsi.

Si può dire, quindi, che Napoli e Scampia hanno imparato nel tempo che la miglior vittoria è saper perdere?

Si, ma forse, più che saper perdere, hanno imparato a saper rialzarsi. Soprattutto Scampia che, dopo gli anni bui della faida, ha saputo rialzarsi. Ecco, questa opera è anche una metafora sul mio quartiere, vedere sul libro “storie da Scampia” è per me molto bello. Noi abbiamo aperto 18 mesi fa ed oggi pubblichiamo con la casa editrice più importante d’Italia.

Leggevo tempo fa una dichiarazione che probabilmente è proprio sua: “la nostra è la piazza di spaccio di libri”. Cosa significa per lei e per Scampia questa libreria?

Ad oggi vengono circa 100 ragazzi al giorno, è un posto che prima non c’era ed oggi c’è. Prima, per comprare un libro, dovevamo fare 10 km, ora invece abbiamo un posto dove, oltre alla vendita di libri, si fa teatro, radio e si producono delle opere letterarie. Dire “piazza di spaccio di libri” significa rivalutare queste parole: piazza come luogo d’incontro, spaccio come posto in cui si comprano cose buone a basso prezzo. Noi veniamo ribattezzati “spacciatori di libri”, e questo ci fa molto piacere perchè bisogna iniziare a fare uno storytelling diverso del nostro quartiere.

La sua storia personale insegna che sport e cultura possono dare una vita diversa a bambini che vivono in un ambiente un po’ difficile. Quanto può essere importante lo sport, soprattutto il calcio, per risollevarsi?

Io sono una persona salvata dal calcio. Prima della morte di mio cugino Antonio Landieri, vittima innocente di camorra, ho giocato nel Napoli ed ho amato questo sport in tutte le sue forme. Il calcio, ma tutto lo sport in generale, ha la sua bellezza nel confronto e non nello scontro, una bellezza che trova il suo apice nell’allenamento, un momento di aggregazione e di miglioramento di ragazzi che seguono un obiettivo comune. Libri e pallone può diventare un bel binomio, noi stiamo lavorando in tal senso con i bambini: coinvolgere i ragazzi attraverso la letteratura, ma anche con lo sport.

Spostando lo sguardo ad oggi, con l’avvento dei social e del digitale, quanto è importante la letteratura, in particolare la figura della libreria, per formare attraverso le fasce più giovani un’opinione pubblica consapevole?

I social ormai sono una realtà e le librerie, così come erano immaginate anni fa, non hanno più senso. Ormai i libri si vendono anche all’Auchan, le librerie devono quindi trasformarsi in luoghi di aggregazione e non in posti dove si vendono semplicemente dei libri. Servono degli spazi in cui vengono offerte opportunità di incontro, dove le mani possono essere usate per creare e non solo per fare scroll o screenshot dal display del telefonino. Ecco, io credo molto nei luoghi e nelle loro potenzialità: il futuro è questo, in quei posti in cui i ragazzi hanno opportunità di imparare cose che il digitale non insegna. Non dimentichiamoci che noi siamo essere analogici e non digitali. Ora che sto avendo l’occasione di girare molte librerie per bambini, sto notando come tutte abbiano spazi dedicati all’infanzia ed ai laboratori. Il libro diventa quasi un pretesto per accogliere questi ragazzi, un luogo da cui partire.

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