È il 1996. Baz Luhrmann, giovane regista australiano con un solo film all’attivo, decide di mettersi alla prova con quella che è la storia d’amore per eccellenza, nonché una delle tragedie più famose di tutti i tempi, il Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Non si tratta certo della prima volta che l’opera viene portata sul grande schermo (fra le tante trasposizioni, ricordiamo almeno quella di Zeffirelli del 1968, che vi abbiamo già raccontato nel nostro precedente articolo) e non sarà nemmeno l’ultima. Tuttavia Luhrmann ne propone una versione particolarmente insolita e spregiudicata, unica nel suo genere, frutto di una consistente rivisitazione di Shakespeare in chiave postmoderna. Ecco allora che l’ambientazione si sposta dalla Verona del Cinquecento alla Verona Beach degli anni Novanta (sobborgo immaginario di Los Angeles che richiama esplicitamente Venice Beach), le spade vengono sostituite da pistole, le fate diventano pasticche di droga e la “e” nel titolo viene rimpiazzata da un meglio rispondente “+”: il Romeo + Giulietta di William Shakespeare by Baz Luhrmann è servito.
Le vicende ricalcano con qualche differenza quelle della tragedia shakespeariana, da cui sono ripresi fedelmente testi e parte dei dialoghi. A Verona Beach, le ricche famiglie dei Montecchi e dei Capuleti continuano a darsi battaglia da generazioni, provocando ripetuti disordini nella città. Un giorno il giovane Romeo (Leonardo DiCaprio), figlio dei Montecchi, si imbuca a una festa organizzata dai Capuleti. Qui incontra una ragazza di cui subito si innamora perdutamente, ricambiato, salvo poi scoprire che la giovane non è altri che Giulietta (Claire Danes), figlia degli odiati Capuleti, anch’ella inizialmente all’oscuro della vera identità di Romeo. L’antico odio fra le famiglie non scoraggia però i due giovani, che si sposano segretamente con l’aiuto di frate Lorenzo, il quale vorrebbe favorire con quell’unione la riconciliazione tra le opposte fazioni. Riconciliazione che alla fine avverrà, ma solo a costo del sangue innocente dei due innamorati.
Luhrmann dimostra di non aver nessun timore reverenziale nei confronti della classicità del soggetto e il suo Romeo + Giulietta si caratterizza fin da subito come un film ricco di azzardi. Gli originari versi rimati shakespeariani vengono calati in un contesto pop delirante, che mescola con spiazzante facilità il gusto camp (o dovremmo dire “sagra del kitsch”) all’iconografia pulp, avvalendosi di una colonna sonora altrettanto ibrida, che spazia dal pop al rock (Radiohead, Garbage, The Cardigans), passando per il soul (Des’ree), fino alle note conclusive del Liebestod wagneriano, gettando un occhio al pubblico di quella generazione MTV che nel 1996, anno di uscita del film, ha ormai preso stabilmente piede. L’indole marcatamente postmoderna della pellicola si evince anche dalle numerose citazioni ai generi cinematografici, come la sequenza d’apertura in perfetto stile spaghetti western o le scene da gangster movie e quelle da musical. Ne vien fuori un’opera folle, audace, psichedelica, che testimonia tutto il talento visivo e la spregiudicatezza — per non dire strafottenza — del cineasta australiano, il quale sembra montare e girare sotto l’effetto di anfetamine. Movimenti di macchina fulminei, cut netti come colpi d’accetta e zoom come fucilate! Un rigurgito pop anarchico, eccessivo, smodato. Sicuramente qualcosa di mai visto nelle precedenti trasposizioni.
Ma l’originalità basta da sola a decretare la bontà di un’opera? Camicie colorate in stile tropicale, tacchi metallici degli stivali, tatuaggi sulla schiena dei preti, prostitute di colore che ballano per strada con vestiti lamé… Cos’ha a che fare tutto questo col Bardo dell’Avon? Che il regista, colto da un delirio d’onnipotenza, l’abbia fatta fuori dal vaso? Noi crediamo di no. I suoi azzardi si rivelano in ultima analisi vincenti, se non altro perché, pur rompendo il canone della classicità (e non pochi son stati quelli che hanno urlato all’immondo tradimento), riescono a restituire con autenticità l’impatto emotivo del dramma di Shakespeare, facendoci respirare, se non le sue atmosfere, certamente la potenza del pathos che lo sostiene. Risciaquandola alle sorgenti del postmoderno, Luhrmann riesce a dare un volto nuovo (e credibile) alla più celebre storia d’amore di sempre. E scusate se è poco.
Due parole sulla scelta di mantenersi fedeli ai dialoghi originali della tragedia, pur trapiantandola in un contesto moderno: all’epoca della Playstation, del Tamagotchi e soprattutto degli sms (con le loro righe di testo limitate e le conseguenti abbreviazioni), quei ruggenti anni Novanta in cui il film di Luhrmann viene alla luce, può sembrare strano, per non dire assurdo, sentire qualcuno esprimersi in sonetti, eppure l’effetto ottenuto non è alienante o manierato, i dialoghi scorrono naturali, senza risultare fuori contesto o paradossali, contribuendo anzi a rapire lo spettatore, immergendolo nella favola a cui sta assistendo. Buona parte del merito va agli attori che padroneggiano perfettamente il testo shakespeariano, ma dimostrano anche di saperne fare a meno quando è il momento di emozionare con la semplice intensità di uno sguardo (vedasi, fra tutte, la toccante scena dell’acquario — che avremo modo di citare in seguito — quando Romeo e Giulietta si incontrano per la prima volta).
Interpretazione intensa e vibrante di un giovane DiCaprio espressivo, emotivamente coinvolgente, qui agli inizi della sua ascesa da sex-symbol: sarà proprio questo film a sdoganare definitivamente il suo visetto d’angelo fra le teenager di mezzo mondo (visetto d’angelo in verità poi un po’ “sporcatosi” nel tempo, ma compensato da una maturazione artistica non indifferente). Bravissima e appassionata anche la protagonista femminile Claire Danes, che in realtà non fu la prima scelta per il personaggio di Giulietta (il ruolo doveva essere di Natalie Portman, successivamente scartata perché ritenuta troppo giovane, tanto che le scene d’amore provate con DiCaprio restituivano quasi un senso di molestia). Azzeccatissimo e icastico anche il personaggio di frate Lorenzo (con tanto di crocefisso tatuato sulla schiena) interpretato dal compianto Pete Postlethwaite. Fra gli altri, spiccano la verve di Harold Perrineau, interprete di uno scoppiettante e indimenticabile Mercuzio, e la suggestiva caratterizzazione di John Leguizamo, perfetto nel ruolo di Tebaldo.
Romeo + Giulietta è il racconto di un amore puro, assoluto, tenero, che nasce a una festa dagli sguardi lanciati attraverso il vetro di un acquario tra un giovane mascherato da cavaliere e una giovane in veste bianca con le ali da angelo, mentre nella sala a fianco Des’ree ricama sulle note di Kissing You. Chiara la metafora che sottende la scena: Romeo è, letteralmente, il knight in shining armour che arriva salvifico nella vita di Giulietta, mentre lei è l’angelo che lui andava cercando da tutta la vita. Una sequenza intensa (nella sua semplicità, forse la più bella della pellicola), poetica, stilisticamente perfetta, pregna di un romanticismo che incanta senza scadere nello stucchevole.
Un film che travolge ed emoziona a vari livelli. Da vedere tutto d’un fiato (muniti di fazzoletti), fino al tragico epilogo che tutti conoscono.