“Il richiamo della foresta”: la nuova emozionante trasposizione del Classico

di Vittorio Paolino Pasciari

Il richiamo della foresta (The Call of the Wild) è un film del 2020 diretto da Chris Sanders ed ha per interpreti principali Harrison Ford (John Thornton), Dan Stevens (Hal), Omar Sy (Perrault), Karen Gillan (Mercedes), Bradley Whitford (giudice Miller), Colin Woodell (Charles), Scott MacDonald (Dawson), Jean Louisa Kelly (Katie Miller) e Wes Brown (Mountie). La pellicola è la quinta trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Jack London.

TRAMA California, fine ‘800. Buck è un grosso cane che vive nella villa di un giudice. Rapito per essere venduto come cane da slitta per i cercatori d’oro del Klondike, Buck si ritrova in Alaska, rinchiuso in una gabbia e addestrato alla legge del bastone. Acquistato da un francese che consegna la posta negli avamposti dei cercatori d’oro, entra in una muta di cani e in poco tempo, coraggioso e possente, ne diventa il capo. Quando però il postino perde il lavoro, il cane viene acquistato da un feroce viaggiatore in cerca di fortuna, che a causa del suo egoismo farà perdere la vita ai suoi compagni, mentre Buck verrà salvato dall’eremita John Thornton. Al fianco di John, Buck trova finalmente un amico con il quale spingersi nelle profondità delle terre selvagge. Qui sentirà sempre più forte il richiamo della foresta e si unirà ad un branco di lupi, senza però dimenticare l’affetto per il suo anziano padrone.

ANALISI Un’esistenza fra vizi e comodità viene di colpo strappata alla vita del protagonista a quattro zampe. Il tono drammatico che tocca la tragedia nel libro viene stemperato e ridotto all’essenziale in una spettacolare avventura per sottolineare la crudeltà di alcuni esseri umani fra i nuovi padroni. Altri elementi cardine della storia di riferimento (in primis la crescita all’indietro attraverso sofferenza e pericoli) vengono conservati ma integrati con delle novità, anche di genere comico, per rendere più simbiotico e speculare l’ultimo legame con l’uomo prima della rottura definitiva colla civiltà. La suggestione offerta dagli ampi spazi di una Natura ancora incontaminata e un sapiente uso combinato di computer grafica e performance capture non sminuiscono le emozioni offerte dalle pagine e mantengono vivo il messaggio di base che nel finale in celluloide è davvero commovente in quanto valido insegnamento per noi poveri figli civilizzati di una natura indegnamente martoriata.

Prima edizione (1903)

DALLE PAGINE… Di simpatie socialiste ed attratto dal darwinismo sociale, Jack London (1876-1916) ebbe una giovinezza turbolenta. Abbandonati gli studi presso l’Università della California, partì per il Klondike nel 1897 (epoca in cui si svolgono le avventure di Buck) seguendo l’esempio di molti altri che si tuffarono nella cosiddetta “corsa all’oro”. Sopravvisse in condizioni molto difficili e aveva portato con sé due libri: L’origine della specie di Charles Darwin e Il paradiso perduto di John Milton. Del romanzo breve che segna il suo esordio come romanziere e che tutt’ora è considerato il capolavoro dello scrittore statunitense, la prima stesura ufficiale uscì a puntate sul Saturday Evening Post dal 20 giugno al 18 luglio 1903, mentre la prima edizione, contenente 18 illustrazioni a colori, fu pubblicata nell’agosto 1903 per l’editore Macmillan di New York

La prima edizione italiana, tradotta da Gian Dàuli, fu pubblicata nel 1924 per l’editore Modernissima di Milano e quelle successive si distinguono fra adattamenti e rifacimenti (in genere illustrati) con prefazioni varie: l’edizione più recente è la traduzione di Daniele Petruccioli per la Rizzoli – BUR del 2019. Con questo giudizio Ada Prospero Marchesini, giornalista, traduttrice di classici e partigiana, descrive il libro di London:

London rivela la propria fede nell’evoluzionismo biologico e nell’onnipotenza dell’ambiente; ma, nonostante la tesi, il libro è tutto vivo: vivo è Buck, vivi sono gli altri cani, con i loro eroismi, le loro ferocie, le loro ambizioni. Non meraviglia che, nell’America del suo tempo, il libro avesse grande fortuna, richiamando gli uomini industrializzati e meccanicizzati all’acre profumo selvaggio dell’istinto, alla verità primordiale della natura e della vita.

Ed ancora Raffaele La Capria, scrittore, sceneggiatore e traduttore di libri, commenta:

Protagonista del romanzo antisentimentale e commovente è il cane Buck, con il quale London si era magicamente identificato fino ad immaginarne i moti dettati dall’istinto. Buck è tra i personaggi della letteratura quello più amato per la sua fierezza e la sua sopportazione, ma anche per la sua capacità di amore e di riconoscenza.

…ALLA CELLULOIDE Il Classico di London vanta numerose trasposizioni sia cinematografiche sia radiotelevisive. Da segnalare sono il primo adattamento che è un cortometraggio muto del 1908 (The Call of the Wild) diretto da David W. Griffith, prodotto e distribuito dall’American Mutoscope & Biograph ed un film sonoro del 1935 diretto da William A. Wellman dove ad interpretare John Thornton è Clark Gable. Emozionante per chi era bambino negli anni ’80-’90 è un adattamento animato di produzione nipponica del 1981 diretto da Kozo Morishita, trasmesso in Italia su reti private e successivamente in VHS (nelle trasposizioni dai Classici gli anime sono sempre suggestivi), di cui ricordare la lezione conclusiva della voce narrante:

Buck sarebbe scomparso nella foresta assieme ai suoi fratelli lupi lasciandosi alle spalle un amaro ricordo del passato: la crudeltà dell’uomo.

LA RISCOPERTA DELLE ORIGINI Chi conosce la lezione di Hatchiko, o ha la fortuna di averne o averne avuto uno, sa che nessun altro essere vivente come un cane si mostrerà fino alla morte un amico fedele se ne conquisti la fiducia. Quella di Buck è una storia di riscoperta delle origini perdute e ritrovate in un traumatico allontanamento che passa attraverso sofferenze mitigate da temporanee dimostrazioni di affetto. Se la civiltà può dare ristoro e offrire indubbi vantaggi per vivere bene è anche vero che l’abuso di tanto benessere mina col tempo anima e corpo. È invece il ritorno alle origini primordiali in una Natura pura e incontaminata che insegna a ritrovare sé stessi riscoprendo la forza di sopravvivere da soli nei pericoli che rappresentano la vita vera, quella che il progresso tecnologico e le comodità dei vizi mascherano con l’illusione di una felicità che è sempre temporanea.

La lettura scorrevole e le descrizioni suggestive di London non sembrano intaccate nell’ultima trasposizione, pur con tutte le diversità che mai mancano nel passaggio dalle pagine alla celluloide. La fotografia meravigliosa e la riproduzione in digitale dei protagonisti a quattro zampe consente di ottenere qualcosa che l’addestramento di veri animali, per quanto a loro modo espressivi (e per buona pace degli animalisti) al naturale non accentuano: una più suggestiva espressività che recita ‘senza parlare’ ed è paragonabile a quella degli attori umani, ridotti quasi a specchi per riflettere la vicenda di Buck. Fra gli interpreti umani non si può non lodare quello che fa anche da voce narrante: Harrison Ford è un pilastro del cinema che non ha bisogno di presentazioni ma che, forse per la prima volta, interpreta impeccabilmente un ruolo consono alla sua età (non è affatto una critica!) prima di essere libero di rituffarsi in qualche altro spassoso ruolo di giovane attempato che ancora sa dire molto in fatto di azione.

Mai come in tempi odierni avremmo bisogno di staccare, anche solo per un giorno, dalla “modernità civilizzata” per tornare a scoprire le nostre origini selvagge a stretto contatto con i pericoli e la bellezza della Natura ancora incontaminata per ritrovare dentro di noi la forza di sopravvivere senza comodità logoranti e ricordarci quanto siamo indegni figli di un pianeta cui forse non resta ancora molto da vivere ma che comunque ci sarà dopo la nostra fine.

EMOZIONANTE E SUGGESTIVO.

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