“Napoli New York” è un film girato con grande maestria dal regista Gabriele Salvatores. Una bella favola che rapisce, a tratti commovente e che mantiene lo spettatore attento nella visione per tutta la durata del film. Tratto da un soggetto di Fellini e Pinelli, scritto alla fine degli anni Quaranta, è una storia di crescita, di formazione, ma anche di sofferenza e paura. I temi del film sono quelli già trattati da Salvatores: il viaggio, i personaggi incastrati in situazioni difficili, ma soprattutto i poveri, quasi sempre emarginati. La storia è semplice: due bambini napoletani s’imbarcano clandestini su un transatlantico per New York alla ricerca della sorella ma anche di una vita migliore.
Il film si svolge in tre atti con tre location diverse. Le prime immagini sono relative alla Napoli del dopoguerra, vengono ripresi gli ultimi, i poveri, gli affamati, famiglie senza alcun futuro all’orizzonte. Nel secondo atto c’è il viaggio in nave dei due bambini, avventuroso ma carico di amore e solidarietà. Il terzo atto si svolge a New York ed è l’apoteosi del film.
Il film non è sull’immigrazione, ma sicuramente costituisce principalmente su questo tema. Salvatores ha commentato il suo lavoro dicendo che una volta eravamo noi immigrati, oggi col benessere abbiamo dimenticato cosa significa la parola solidarietà. Il mutuo sostegno e la fratellanza sono sentimenti da riscoprire.
Ci accompagna nella visione un grande cast di attori, da Pier Francesco Favino ad Anna Ammirati, Omar Benson Miller, Antonio Catania con un piccolo e simpatico cameo e i due giovani protagonisti Dea Lanzaro e Antonio Guerra. Pier Francesco Favino lo ritroviamo nuovamente nella veste di un umano e accogliente commissario di bordo: l’interpretazione del personaggio è straordinaria. Questa volta l’attore, che ci ha abituati alle sue interpretazioni nei più svariati ruoli e con accenti dialettali diversi, parla un napoletano americanizzato. I due ragazzi, nel film Carmine e Celestina, sono molto convincenti, hanno un viso che buca lo schermo ed hanno recitato con grande abilità, parlano solo napoletano, ma non è un napoletano di Gomorra o moderno, ma un dialetto alla De Filippo, comprensibile a tutti e comunque ci sono i sottotitoli. Essi creano molta empatia con lo spettatore, e quando sulla nave gli viene detto che essere clandestini è un reato la bambina prontamente risponde: “Anche morire di fame lo è”.
La scenografia è curatissima, firmata da Rita Bassanini, e i costumi di Patrizia Chericoni sono rispettosi dello stile dell’epoca. E’ un film da vedere soprattutto per chi non ama lungometraggi violenti o cinici, è una bella favola rilassante e ben costruita e, anche se il sogno americano non esiste più, è sempre importante ricordare la storia del nostro progresso.