Il regista Pupi Avati, ottuagenario, nel corso della sua lunga carriera ha scritto circa una cinquantina di film nei quali ha trattato diversi generi dalla commedia sentimentale al racconto storico, dal thriller all’ horror, fondando quel sottogenere che viene definito il “gotico padano”. Come spiega Roberto Della Torre nel libro dedicato a Pupi Avati, la letteratura gotica, fantastica e del terrore della metà del XVIII secolo ha visto la produzione di opere ambientate nella natura e nelle zone rurali dove si manifestano perversioni umane e fenomeni dell’horror avulsi da una normale vita sociale e morale.
L’appellativo di “gotico padano” è stato coniato dallo stesso Avati perché nei suoi film identifica perfettamente le caratteristiche fondanti di questa corrente, con film di ambientazione padana, girati in argini, campagne e paesini a prima vista di assoluta serenità, lo stesso dicasi per la popolazione che li abita; salvo poi nel corso del film scoprire misteri, orrori, ed eventi soprannaturali che stridono con quella iniziale tranquillità e rassicurazione.
Nel film “L’orto americano”, che ha chiuso l’81° festival di Venezia, istruito dall’omonimo romanzo di Pupi Avati, il regista ci riporta nella Bologna della Liberazione. Un giovane (Filippo Scotti) intravede un’infermiera americana e se ne innamora perdutamente. Anni dopo prenderà casa nel Midwest, proprio accanto alla famiglia dell’infermiera che non ha dato più notizie dalla sua permanenza in Italia. Le due case americane sono separate da un semplice orto. Tra il nuovo inquilino e la mamma della giovane donna, che scoprirà chiamarsi Barbara, nasce un’amicizia. La signora (Rita Tushingham) è disperata per la perdita della figlia e poco dopo muore di crepacuore raccomandando al giovane scrittore di fare luce sulla scomparsa della figlia. Il giovane, oltre ai rapporti con la vicina, ha un colloquio serale con i morti e ha una serie di fotografie dei suoi avi sul comodino con cui ogni sera intesse un monologo. Il vero intreccio della storia comincia quando il giovane sente dei lamenti provenire dall’orto, scava e trova dei genitali femminili accuratamente conservati con un’incisione. L’intrigo della vicenda riporta il protagonista in Italia dove si trova ad assistere ad un processo di tre femminicidi tra cui dovrebbe essere rimasta vittima anche Barbara. La terrificante storia trova un epilogo a sorpresa.
Il protagonista cammina su un filo sottile tra verità e follia, fantasia e soprannaturale. In questo film oltre alla predilezione di Avati per le stelle e strisce degli anni 40/50 troviamo la summa del classico gotico padano, con riferimenti a Hitchcock. Ad ispirare la storia è anche la biografia di Avati che, come lui confessa, ha scelto una vita di solitudine, sovrapposta a facoltà soprannaturali. Anche il regista, così come il protagonista, “la sera parla con i morti”, modalità ereditata dalla cultura contadina.
Il film, proiettato in bianco e nero per far immergere lo spettatore in un clima rétro del dopoguerra, è un crescendo di ansia, inquietudine ed horror, con un finale che lascia aperto all’immaginario dello spettatore e con un’ambiguità di fondo che caratterizza tutto il lungometraggio. L’attore principale Filippo Scotti regge bene l’interpretazione dell’intero film. Molto interessante la presenza dell’attrice Rita Tushingham nel ruolo della madre disperata che attende invano il ritorno della figlia. Altri attori sono: Massimo Bonetti nel ruolo del giudice nel processo per tre femminicidi; Roberto De Francesco nel ruolo di Emilio Zagotto fratello dell’assassino. Nel film troviamo anche la partecipazione di Andrea Roncato che, in un ruolo secondario, interpreta il marito di una delle donne vittime di femminicidio.
Tuttavia, entrando nel vivo della trama si trovano diversi momenti deboli, a volte anche ridicoli. Situazioni che sfiorano l’inverosimile, suspence, horror; insomma, un miscuglio tra il reale, l’irreale e la follia, principiando il tutto da un incontro con una bellissima donna (Mildred Gustafsson) in un’unica apparizione. Se non siete impressionabili, questo film è assolutamente da vedere.