Cosa c’è alla base del bullismo?

Una disamina psicologica su una piaga giovanile ormai preoccupante

di Redazione Zerottouno News

(di Padre Luigi Di Palma) Il tragico epilogo della giovane esistenza di Leonardo, 15 anni, che si è tolto la vita in un casolare a Senigallia il 15 ottobre scorso, ripropone l’ennesimo episodio di disagio giovanile. Non si tratta di quel genere di disagio che potremmo attenderci considerando quanto avviene per esempio in un contesto di periferia urbana oppure di caotica urbanizzazione, dove i minori sono esposti ad un ambiente fisico e sociale degradato dalle più diverse problematiche (inquinamento, congestione urbana, ristrettezza abitativa, delinquenza, basso livello di scolarizzazione, disoccupazione, tossicodipendenza, conflittualità familiare, etc.).

Invece la storia di Leonardo parla di un disagio giovanile che emerge all’interno di un ordinario contesto di vita che non lascerebbe immediatamente pensare alla possibilità di un gesto così estremo – come appunto il suicidio di un minore – se non per il fatto che può esistere una sofferenza personale profonda e oscura che purtroppo può essere indotta, sottovalutata e inascoltata anche in un comune – quanto privilegiato – ambito di crescita sociale.

Viene riportato che quanto è successo sia stato innescato (pur ammettendo che le motivazioni possono essere alquanto complesse) da episodi di bullismo a scuola: un mortificante fenomeno che si caratterizza con azioni aggressive dirette sulla vittima oppure attraverso azioni aggressive indirette su di essa mediante la pubblicizzazione e spettacolarizzazione dell’insulto o dell’oltraggio via-social (cyber-bullismo).

Nel caso del bullismo si può partire dalla violenza verbale (nomignoli, parole volgari, frasi offensive, dicerie, calunnie) riferita all’aspetto fisico, al modo di parlare o di comportarsi della vittima. Si può in seguito arrivare alla violenza fisica (spinte, schiaffi, pugni, sgambetti, calci, denudamento, etc.). Anche l’esclusione dal gruppo di appartenenza è una forma di violenza detta “relazionale”.

In tal modo il bullismo dimostra di essere frutto della prevaricazione, della discriminazione e del disprezzo verso chi è piccolo, debole, solo, inerme: il fallimento indiscusso nel concepire e utilizzare il potere nelle relazioni (prodotto di una cultura mediatica che in più occasioni investe su fictions e serie televisive/streaming ispirate alla “legge del più forte”).

Quali possano essere stati i motivi complessivi, compresi gli episodi di bullismo, che hanno indotto Leonardo ad abbandonarsi a quel gesto, non è possibile (per ora o forse mai) saperlo. Sta di fatto che un gesto estremo come il suicidio, capace di andare oltre l’istinto di sopravvivenza e conservazione, parla in modo eclatante. Esso infatti può essere “interpretabile” solo se si ammette che ad un certo momento del percorso di vita (dopo tempo, non dall’oggi al domani) una persona non è riuscita ad affrancarsi da un dolore divenuto estenuante e rispetto al quale non si sono intraviste soluzioni alternative.

Togliersi la vita diventa in qualche modo un’“espressione liberatoria” che può dipendere da una condizione disperata in cui ci si viene a trovare e che si percepisce senza via d’uscita: questa condizione dipende tanto dalla capacità di reagire della singola persona (sensibilità caratteriale, emotività, vulnerabilità allo stress, autostima, stabilità dell’apporto affettivo, etc.), quanto dalla natura oggettivamente frustrante di ciò che imprevedibilmente si subisce (malattia, abbandono, lutto, maltrattamento, abuso, violenza, etc.).

Togliersi la vita è anche un’“espressione dimostrativa”: è la comunicazione agli altri di non aver trovato l’attenzione dovuta alla propria sofferenza.

Togliersi la vita è infine un’“espressione reattiva”: la modalità di reagire esprimendo la propria rabbia (introiettandola) per essere stati ingiustamente vittime di un comportamento ingiustificabile, una gratuita violenza al diritto di essere rispettati come tutti dovrebbero esserlo.

Nel caso di un adolescente, soggetto a bullismo, l’eventualità del suicidio può derivare da alcuni motivi di fondo. Un primo motivo è indirettamente collegabile all’identità della persona. L’adolescente infatti si trova di per sé in un’età molto sensibile, fragile, incerta. Impegnato nella definizione della propria identità, è preso da un senso latente d’insicurezza, d’insufficienza e d’inquietudine circa la considerazione che può avere di sé: ragion per cui un ragazzo o una ragazza sono continuamente alle prese con alcune domande: «Chi sono veramente?», «Che valore posso attribuire a me stesso/a?», «Come mi considerano gli altri?», «Cosa rappresento davvero per loro?». Ogni tipo di giudizio o risposta proveniente da se stesso o direttamente dagli altri va in qualche modo a sollecitare, confermando o mettendo fortemente in discussione, quanta stima di sé la persona si può attribuire.

L’adolescente alimenta la stima di sé sulla base del grado di accettazione oppure di rifiuto che egli/ella percepisce (o di fatto riceve in una maniera tangibile) relativamente ad ogni specifico aspetto del valore personale (le fattezze corporee, il volto, la prestanza fisica, la bellezza, la capacità intellettiva, il coraggio, l’autonomia, l’appeal affettivo, il grado di accettazione sociale, etc.), soprattutto derivando questo grado di accettazione o rifiuto dall’esterno, soprattutto i coetanei, che a quest’età rappresentano un vero e proprio specchio in cui inevitabilmente ci si va a riflettere.

Il bullismo, in quanto atteggiamento dispregiativo e marcatamente offensivo del valore della persona, va a ledere fortemente il senso dell’integrità e dignità personale, mettendo in crisi i diversi aspetti del modo di essere e di agire. Esso rappresenta una vera e propria forma di mortificazione sociale.

Se inflitto continuativamente, esso arriva a rappresentare anche una forma di persecuzione al limite dell’ossessività, da cui si cerca in qualche modo di liberarsi. A seguito di tale esperienza la vita diventa insostenibile, condannata con il suo carico di ansia e di tristezza ad uno stillicidio, fino a incidere sull’equilibrio psicofisico (tensione emotiva, irrequietezza, insonnia, stanchezza), sulle relazioni (allontanamento, chiusura sociale) e sulle attività e gl’interessi (mancanza di concentrazione, inadeguatezza del compito, incapacità a raggiungere gli obiettivi prefissati).

Un secondo motivo per cui, nel caso di un adolescente soggetto a bullismo, può profilarsi l’eventualità di una decisione estrema come il suicidio può essere il seguente. Il bullismo va a scardinare gradualmente la percezione del valore di sé inducendo nel ragazzo o nella ragazza – insieme alla sofferenza provocata dalle offese ricevute – una distruttiva convinzione di fondo che si potrebbe tradurre: «Mi trattano così, perché effettivamente io sono “così”!». Questa conclusione può giungere come un’infausta e definitiva sentenza che l’adolescente sente di dover inevitabilmente imporre a sé.

Ciò dipende dal notevole grado di considerazione che ogni ragazzo e ragazza concede al gruppo dei coetanei, capace d’influenzare e orientare il giudizio e le decisioni del singolo membro. In tal modo amici, compagni di scuola, ragazzi/e legati ad un certo contesto di frequentazione hanno in qualche modo – più o meno direttamente – voce in capitolo nel processo d’identificazione dell’adolescente. In tal senso il bullismo usa quest’attribuzione di fiducia del giovane o della giovane verso i suoi pari ritorcendola contro di lui/lei.

Un terzo motivo che potrebbe in qualche modo portare alla decisione estrema del suicidio in caso di bullismo è la mancanza o l’inadeguatezza di una rete di accoglienza e di supporto (famiglia, scuola, servizi). Questa  non riesce oppure non si trova disponibile a percepire il disagio nella sua urgenza e rilevanza: per cui il ragazzo o la ragazza, nonostante i richiami più o meno espliciti, non arriva a percepire l’attenzione, l’ascolto, la fiducia, la disponibilità a riconoscere ed affrontare il problema.

Nessuno può attribuirsi una responsabilità qualora si rimanga all’oscuro di una certa situazione in atto, ma quando esistono segni premonitori risulta necessario – a qualsiasi titolo – alzare il livello di guardia e attivarsi immediatamente per intervenire.

 

Padre Luigi Di Palma è un esperto psicologo e psicoterapeuta, frate cappuccino presso il Convento di Nola, in provincia di Napoli, docente e scrittore, autore di “Memorie della Shoah. Meditate che questo è stato… Colloqui con Piero Terracina, deportato ad Auschwitz”.

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