Iraq, Iran, Libano, persino l’Italia. Tutti questi Paesi sono accomunati da una sola cosa: la protesta. Facendo “zapping” sui social e sui maggiori giornali internazionali, si potrà vedere come in tutte le parti del mondo sono in atto delle proteste, a volte anche sanguinose. Ma perché si protesta? In generale succede quando i cittadini, per diversi motivi, decidono di ribellarsi al sistema politico-sociale, esasperati da condizioni sociali ed economiche precarie. Ogni Paese, per motivi politici e culturali, ha la sua reazione. Andiamo a vedere nel dettaglio cosa sta succedendo nel mondo.
HONG KONG
Ad Hong Kong forse si sta compiendo la più grande protesta degli ultimi anni, sicuramente per quanto riguardo il lontano Oriente. Da 6 mesi ormai la popolazione è in strada contro la controversa legge d’estradizione voluta dal governo centrale di Pechino, il 9 giugno oltre un milione di persone si riversarono in piazza. La legge prevede che le persone che hanno commesso reati ad Hong Kong siano processati in tribunali dell’entroterra cinese. Le proteste sono state violente, con milioni di danni, due morti, oltre 2500 feriti e più di 4500 arresti. Le elezioni regionali hanno portato al trionfo i manifestanti ma, soprattutto dopo l’appoggio ufficiale degli USA alle proteste, il governo cinese ha rincarato la dose affermando che “chi vorrà dividere la Cina ne uscirà con le ossa rotte“.
CILE
Al pari di Hong Kong, in Cile stanno andando avanti da tempo furenti proteste, forse le più violente. Dal 14 ottobre oltre un milione di cileni stanno protestando nelle strade contro i Carabineros, i quali non stanno disdegnando la violenza bruta. La rivolta è scoppiata dopo l’aumento del prezzo del biglietto della metro negli orari di punta, ma in generale si protesta contro la corruzione ed il carovita. Il Governo ha dichiarato lo stato d’emergenza, nel frattempo ci sono stati 20 morti, 2400 feriti, 5000 arresti e diversi casi eclatanti come le morti di due simboli, El Mimo e la fotografa dei manifestanti.
BOLIVIA
Ad ottobre sono cominciate anche le proteste in Bolivia, che hanno portato infine ad un allontanamento del presidente Evo Morales che a molti è sembrato un vero e proprio colpo di stato. Le proteste sono cominciate il 21 ottobre in seguito alla rielezione proprio di Morales: secondo l’opposizione gli spogli sarebbero stati manipolati, in quanto il conteggio fu sospeso proprio nel momento in cui Morales sembrava non avere il margine del 10% necessario per la vittoria. Dopo alcuni giorni di proteste e dopo che anche alcuni governi internazionali si erano espressi in accordo con la tesi della frode, Morales è stato costretto alle dimissioni ed alla fuga in Messico, in seguito anche all’ammutinamento dell’esercito. Dall’inizio della rivolta ci sono stati almeno 20 morti e più di 200 feriti, con oltre 500 arresti.
COLOMBIA
Anche in Colombia si protesta. Dal 21 novembre centinaia di migliaia di colombiani sono in strada per protestare contro le mancate riforme economiche del presidente Ivan Duque. La miccia è stata l’annuncio del taglio delle pensioni, ma la popolazione sta anche protestando contro le diseguaglianze sociali, la povertà, il mancato accordo di pace con le FARC dopo le migliaia di morti nella guerra civile della seconda metà del secolo scorso. I morti sono stati circa una decina, centinaia i feriti e gli arresti.
ECUADOR
In Ecuador ingenti proteste sono scoppiate in seguito alla decisione del presidente Lenin Moreno di revocare i sussidi per il carburante. La rivolta è stata così forte che il Governo è stato spostato dalla capitale Quito alla città costiera di Guayaquil. Il presidente Moreno ha detto che non si dimetterà, ha posto in essere lo stato d’emergenza ed ha accusato il suo ex presidente di star organizzando un colpo di stato per via della sua inimicizia con il presidente venezuelano Maduro. Circa 500 sono stati gli arresti, 2 i morti e decine i feriti.
IRAN
Dall’Oriente all’America Latina, passando per il Medio Oriente e l’Africa. Le proteste continuano infatti anche in Iran, dove secondo Amnesty sarebbero oltre 300 i morti in seguito alla repressione governativa. Le mobilitazioni cittadine erano cominciate alcune settimane fa in seguito all’aumento del costo del carburante. Il governo di Rohani ha ammesso che ci sono stati morti ma non ha mai precisato il numero e per 10 giorni ha anche bloccato l’uso di internet per impedire le comunicazioni all’esterno. Per le Nazioni Unite ci sarebbero anche 12 minorenni tra le centinaia di morti.
IRAQ
Anche in Iraq ci sono furenti proteste. La situazione, già grave per la mancanza persino di acqua ed elettricità, è deflagrata dopo l’aumento del carovita. Migliaia di persone si sono riversate in strada contro il governo centrale, ma le forze di polizia hanno risposto con violenza e rappresaglie, facendo sparire molte persone di cui non si hanno più tracce. Da ottobre il numero dei morti ha superato già il centinaio, il premier Mahdi circa 20 giorni fa ha annunciato le dimissioni. È la fine del modello post 2003 voluto dagli americani e oggi gli iraqeni, nel tentativo di costruire una nuova patria dopo Saddam Hussein e gli USA, attaccano anche l’Iran per la sua ingerenza nella politica nazionale.
LIBANO
Le proteste sono forti anche in Libano, tanto che alcuni stanno già ipotizzando una guerra civile. Una grave crisi economica, con un debito del 150%, sta portando al collasso il Paese. Le manovre hanno preso di mira i beni di largo consumo, con la proposta di tassare addirittura Whatsapp, tabacco e benzina. I manifestanti chiedono il rinnovamento della classe politica e manovre per migliorare la qualità della vita, il presidente Aoun è al lavoro per formare un nuovo governo ma sarebbe intenzionato e richiamare Saad Hariri, già premier dimissionario. Questo atto potrebbe incrementare le proteste, in quanto non significherebbe un vero cambio di rotta come chiesto dai cittadini. In due mesi, dopo che erano iniziate in modo pacifico, le proteste hanno portato nei soli due giorni iniziali a 2 morti e 6o feriti. Il governo aveva tentato di varare un taglio del 50 per cento agli stipendi dei parlamentari ma questo non ha fermato i manifestanti. In Libano si protesta per un cambio di rotta e di vita.
ALGERIA
Centinaia di migliaia di cittadini in piazza anche in Algeria. Le proteste vanno avanti da ben 9 mesi, da quando il presidente Bouteflika aveva annunciato la sua quinta candidatura. Il dietrofront del presidente e la recente elezione di Abdemajid Tebboune non hanno tuttavia calmato le acque. Le persone in Algeria protestano contro il potere, rappresentato da un presidente che a 82 anni e paralizzato da un ictus chiede ancora la guida del governo, assieme a tutti quelli che i cittadini ormai identificano come il suo circolo. Tebboune dovrà quindi lavorare per riportare fiducia e benessere economico dopo il calo del prezzo del petrolio (l’Algeria vive di esportazione di combustibili).
INDIA
Da alcuni giorni i cittadini indiani sono in strada a battersi contro le forze di polizia. Il premier Modi sta portando avanti una linea nazionalista e, dopo le rivolte sanguinose in Kashmir, l’India ora è ripiombata nel caos. Le proteste si sono accese dopo la controversa legge sulla cittadinanza approvata dal Governo che potrebbe escludere la minoranza musulmana. In questo modo, sottolineano le opposizioni, Modi starebbe portando a compimento il suo progetto nazionalista di fare dell’India uno stato indù e non più laico. Anche in questo caso molti giovani e molte università sono stati coinvolti.
FRANCIA
In Europa dei focolai di protesta sono aperti in Francia ed anche in Italia. Sebbene nel Belpaese le proteste siano pacifiche, con flashmob di piazza contro Salvini e la politica d’odio sviluppata negli scorsi anni, in Francia le cose sono ben diverse. I cittadini, sulla scia delle maxi proteste dei Gilet Gialli degli scorsi mesi, si sono mobilitati contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Il responsabile del progetto di riforma, Jean-Paul Delevoye, si è dimesso ma il Paese da 15 giorni è ormai messo in ginocchio da scioperi e cortei.
Il mondo pare essere totalmente in protesta, le recenti rivolte di questi due mesi si aggiungono alle mattanze del Sudan, in Yemen, in Venezuela, dove per mesi ci sono stati scontri e morti. I cittadini reclamano uguaglianze sociali, condizioni di vita migliori ma, soprattutto in America Latina e Medio Oriente, chiedono un cambio di rotta e la caduta dell’establishment politico che, in maniera corrotta, li ha guidati. Protagonisti, perlopiù, i giovani che, esasperati, ora chiedono di avere le redini del proprio futuro. Il 2019 si sta chiudendo con fuoco e sangue, il 2020 potrebbe essere un anno fondamentale per molte nazioni.