In Europa gli agricoltori protestano scendendo in strada con i trattori: cosa sta succedendo?

di Carolina Cassese

E’ trascorso quasi un mese dall’ inizio delle proteste degli agricoltori in Europa. Nate in Germania su un problema di bilancio, sono diventate un fenomeno continentale. In Italia i trattori hanno iniziato a bloccare le strade a inizio febbraio. Alla base dei motivi della protesta degli agricoltori di tutta Italia e d’Europa sono i protocolli del Green Deal, l’afflusso incontrollato dall’estero di prodotti agricoli estranei alla produzione da severi disciplinari come quelli italiani e soprattutto la nuova “Politica agricola comune” (Pac), ritenuta dannosa per la produzione di grano e non solo. Oggetto della protesta anche l’aumento delle tasse, il taglio ai sussidi agricoli, i bassi salari e l’eccessiva burocrazia. Gli agricoltori invitano a  soffermarsi sul consumo di cibi sintetici e sull’importazione di grano e prodotti provenienti da Paesi extraeuropei, non soggetti  a severe procedure di  garanzia della qualità alimentare, cosa che invece accade in Italia.

Le ragioni della protesta sono chiare. In 15 anni, tra il 2005 e il 2020, 5.3 milioni di aziende agricole in Europa hanno chiuso. In Italia le imprese del settore si sono dimezzate: nel solo 2022 sono 3.623 le aziende, in gran parte piccole e piccolissime, che hanno dovuto rinunciare. Nel nostro Paese i cortei di trattori sono nella maggior parte spontanei, convocati da comitati improvvisati. Le tradizionali organizzazioni di categoria –Coldiretti, Confagricoltura, CIA – sono tenute ai margini e criticate dalla piazza. I punti salienti della protesta variano a seconda dei territori, del gruppo di appartenenza, delle idee politiche del singolo agricoltore.

Ci sono, tuttavia, alcuni punti in comune. Paolo Giarretta è un allevatore ed è  responsabile del Comitato Agricoltori Traditi in Lombardia impegnato nella protesta. “L’Unione Europea ci sta rompendo le palle per le terre incolte: vogliono pagarci per non coltivare, è assurdo. Poi c’è il problema del gasolio, che costa troppo, e dei fitosanitari. La colpa è anche del Governo, che decide sulle accise. E i sindacati agricoli non aiutano”. Questo trio (UE, Stato e organizzazioni di categoria) è indicato da tutti come responsabile dei mali del settore agroalimentare. Paola Ponzo, responsabile del comitato in Piemonte, a differenza di Giarretta, non è un’imprenditrice del settore, ma è una dei leader locali del movimento. “Le ragioni del disagio sono profonde – afferma – da tempo vediamo diktat europei che non vanno a genio a chi lavora nel comparto. C’è tanta rabbia verso i sindacati agricoli, le persone non si sentono rappresentate. Gli agricoltori sono disperati, molti sono immersi nei debiti. Mi chiamano piccoli imprenditori che, per la frustrazione, arrivano all’autolesionismo”.

Per tutti, la crisi del settore è effetto del combinato disposto di politiche nazionali e comunitarie. “Se il latte mi viene pagato 50 centesimi al litro, come campo?”, conclude Giarretta. Matteo Perra ha 21 anni ed è tra i portavoce di Agricoltori Italiani – Uniti si vince, tra i comitati attivi in Italia nelle proteste. “Siamo nati con un congresso a Pescara – dichiara – erano presenti delegati da tutte le Regioni”. In quello stesso incontro i partecipanti hanno approvato un documento in sette punti. Tra le rivendicazioni ci sono alcune novità rispetto ai temi che hanno dominato il dibattito pubblico in queste settimane, e anche qualche vistosa assenza. In primis il gruppo chiede interventi sui costi della produzione, stop a qualunque aumento del gasolio, moratoria sui debiti e risarcimento delle multe per le quote latte, di cui tanto si parlava alcuni anni fa. Anche la sburocratizzazione delle procedure per l’accesso ai fondi europei è un tema, assieme all’accorciamento delle filiere, una migliore etichettatura che valorizzi il locale, e la revisione della legge 102/2004 che regola i risarcimenti per la grandine e le altre calamità naturali.

L’Unione Europea è venuta incontro alle richieste “dei trattori” indebolendo le politiche ecologiche. La Commissione ha infatti sospeso per un altro anno l’obbligo di mantenere il 4% dei terreni a riposo per rigenerare nutrienti e ha rimodulato gli obiettivi sulla riduzione dei pesticidi. Proprio la norma del 4% è il primo problema indicato da Giarretta. Anche per Paola Ponzo queste sono buone notizie, ma specifica: “Rimangono contentini”. Più sfumata, invece, la posizione di Perra: “Queste sono distrazioni. I nostri problemi sono altri. Certo, ci mancano molte delle molecole per combattere i parassiti, i prodotti che possiamo usare oggi sono meno efficienti. Ma se abbiamo misure utili a sopravvivere, quelle che citavo prima, ce la facciamo. Gli agricoltori sono i primi ecologisti. Quando un’azienda chiude, un pezzo di territorio smette di essere curato. Il Governo dovrebbe ascoltare noi, e non le organizzazioni che fanno i propri interessi”.

Le associazioni di categoria, Coldiretti in testa, infine, invitano a scagliarsi contro carne sintetica, farina di grilli, fotovoltaico. Per ora chi protesta ha vinto nelle sue richieste anti ecologiste – uso di pesticidi e stop alle colture a riposo – e ha perso sui limiti alle importazioni e al libero scambio, accorciamento delle filiere. Vedremo nei prossimi giorni come si evolverà la situazione.

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