Dall’offensiva alla ritirata: la parabola di Salvini in questa crisi di governo

di Francesco Mazzocca

La stagione politica estiva del 2019 verrà ricordata come una delle più convulse degli ultimi anni. In un clima di paura e delirio di onnipotenza, che ha coinvolto principalmente l’attuale Ministro dell’Interno che ha avviato una fase di pre crisi di governo senza però andare fino in fondo, la politica italiana si appresta a registrare, probabilmente, uno dei suoi cambiamenti più evidenti, quantomeno tra quelli riferiti all’esperienza del governo gialloverde.

Bisognerà aspettare il giorno 20, quando la mozione di sfiducia presentata dalla Lega nei confronti del Premier Giuseppe Conte arriverà in Aula. Sarà la vera e propria resa dei conti per il destino del governo gialloverde, ma soprattutto potrebbe essere anche una tappa decisiva per il futuro politico dell’attuale leader del Carroccio, che in soli pochi giorni ha visto diminuire drasticamente il consenso e il favore dell’opinione pubblica nei suoi confronti. Clamoroso ma anche paradossale, se si pensa che il cambio di atteggiamento che si registra nell’opinione pubblica arriva proprio in seguito ad esternazioni ed atti dello stesso Ministro dell’Interno, contemporaneamente protagonista e vittima di questa fase istituzionale assai convulsa.

Protagonista assoluto di questa prima fase di crisi di governo, apertasi in seguito alle dichiarazioni di Matteo Salvini dopo che la mozione sulla Tav, presentata dai Cinque Stelle e sulla quale i grillini avevano posto il veto, è passata con i voti anche del PD. In quell’occasione Matteo Salvini non ha esitato ad affermare che l’esperienza di governo era al capolinea, perché un governo che dice no alle opere pubbliche ritenute fondamentali per lo sviluppo del Paese non può andare avanti. E a seguire, la presentazione della mozione di sfiducia della Lega nei confronti del Presidente Conte, accusato di non essere presente in occasione della votazione sulla mozione Tav. Insomma, Matteo Salvini, preso atto della bontà dei sondaggi che davano il suo partito quasi al 40%, forte del sentimento di chiusura verso gli altri registrato durante i comizi in molte piazze italiane e sicuro di una pronta e facile vittoria sulla mozione di sfiducia, non ha esitato a prendere la palla al balzo per fare all-in e prendere tutto: non è un caso, infatti, che proprio all’esito della votazione sulla mozione Tav, in uno dei tanti comizi estivi che lo hanno visto protagonista assoluto, ha chiesto “pieni poteri” agli italiani. Per sua sfortuna, e per fortuna di chi ancora chiede alle istituzioni democratiche, i pieni poteri sono rimasti soltanto il sogno di una notte di mezza estate, e infatti nel giro di pochissimi giorni Salvini si è ritrovato all’angolo, a giocare in difesa, e questo per una serie di ragioni fondamentali che hanno coinvolto, a varie tornate, anche gli esponenti dell’opposizione, soprattutto Matteo Renzi che si è detto disposto a formare un governo istituzionale per realizzare la sessione di bilancio e poi arrivare al voto, riprendendo il monito di Luigi Di Maio che, all’indomani delle esternazioni di Salvini, aveva accusato il collega vicepremier di aver tradito gli italiani proprio prima dell’approvazione finale del progetto di legge sul taglio dei parlamentari.

Proprio sulla riforma costituzionale del taglio dei parlamentari è arrivata un’altra sconfitta per Matteo Salvini, che nel discorso del 14 agosto al Senato aveva addirittura rilanciato l’idea di Di Maio, a una condizione: taglio dei parlamentari e poi subito al voto, per dimostrare, almeno in apparenza, di non essere attaccato alla poltrona. Ma il Presidente della Repubblica ha stoppato sul nascere l’ipotesi, forte delle considerazioni non benevole sulla legittimità del progetto di revisione costituzionale. Come se non bastasse, Matteo Salvini ha ricevuto sonore contestazioni anche nelle piazze d’Italia: da Catania a Castel Volturno si è levato forte il grido a una politica maggiormente umanitaria, ma soprattutto rispettosa dei diritti e delle condizioni di vita di milioni di lavoratori. Il colpo di grazia inferto alle ambizioni politiche di Matteo Salvini è arrivato direttamente dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che riprendendo i contenuti già espressi in occasione della conferenza stampa di qualche settimana fa, nella quale aveva rivendicato la serietà e il lavoro di questo governo mentre altri “erano in spiaggia“, ha stroncato sul nascere qualsiasi condivisione della politica del Ministro sui migranti (meglio tardi che mai: lo avesse fatto in occasione del caso Diciotti, sarebbe stato sicuramente molto più opportuno). Alla fine Matteo Salvini si è dovuto arrendere: preso atto del mutato sentimento dell’opinione pubblica, del malcontento all’interno del suo partito, delle dichiarazioni sia del Presidente della Repubblica che del Presidente del Consiglio, ma soprattutto della impossibilità che i meccanismi di una democrazia parlamentare possano essere forzati in base al nudo e crudo consenso della massa, il Ministro dell’Interno ha addirittura autorizzato lo sbarco dei minori a bordo della Open Arms. 

Nel giro di pochissimi giorni Salvini, da attore protagonista della politica italiana, pronto a fare il grande salto verso i posti di comando, si è invece dovuto accontentare di un ruolo secondario, addirittura declassato ormai nelle gerarchie dei ruoli governativi. Ma le sconfitte di Salvini si possono ricondurre a diverse categorie: la prima è quella istituzionale, per cui la scelta di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Premier, quindi del governo, è una mozione di sfiducia anche contro i ministri leghisti, ancora in carica nonostante la posizione antagonista nei confronti del resto della squadra governativa. Follemente, potrebbero addirittura continuare senza un nulla di fatto se la mozione di sfiducia non sarà accolta; la seconda sconfitta è nel campo del consenso: dal sogno dei pieni poteri e dall’offensiva spavalda è stato costretto alla ritirata, addirittura senza ricevere appoggio dal restante centrodestra berlusconiano; la terza sconfitta è sul piano dell’indirizzo politico: costretto a cedere sullo sbarco dei minori della Open Arms, in questo modo dimostrando da un lato una incoerenza totale rispetto agli indirizzi fino ad oggi perseguiti, dall’altro anche un evidente opportunismo atto ad evitare un secondo caso Diciotti. In questo caso però non ci sarebbe stata nessuna ancora di salvataggio in occasione di un’eventuale votazione sull’autorizzazione a procedere.

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