Settimo lungometraggio diretto e sceneggiato dal maestro dell’animazione Hayao Miyazaki (e, manco a dirlo, settimo capolavoro), partorito dopo vent’anni di gestazione. Princess Mononoke (attenzione a quel Mononoke, che non è un nome proprio ma un soprannome che può essere reso in italiano con “spettro” o “spirito vendicativo”) è ambientato in una versione favolistica del Giappone del tardo periodo Muromachi e narra l’eterna lotta tra uomo e natura, sullo sfondo della quale si incontrano, si scontrano e poi si innamorano due ragazzi, il principe maledetto Ashitaka e la ragazza-lupo San, anche lei maledetta a suo modo, perché in bilico tra due mondi, quello umano e quello animale, sostanzialmente rifiutata da entrambi.
Quello fra la natura e la moderna civilizzazione industriale è un conflitto non solo inevitabile per Miyazaki, ma anche apparentemente insolubile. Da una parte abbiamo la foresta, con le sue entità sovrannaturali protettrici che assumono per lo più fattezze ferine; dall’altra abbiamo invece gli umani, che sfruttano indiscriminatamente le risorse della natura rischiando di distruggerla. Non c’è mediazione fra uomo e natura, non c’è convivenza fra le due parti. Il legame si è spezzato in tempi ormai immemori. La narrazione assume valenze simboliche, fuori dal tempo, praticamente mitologiche.
I personaggi, sempre forti e intensi, assumono connotazioni complesse, assolutamente non manichee. Questa sfaccettatura è particolarmente evidente nel personaggio della padrona Eboshi, signora della Città del Ferro, la quale, come tanti antagonisti miyazakiani, non presenta solo lati malvagi, rivelando invece la sua umanità in diverse circostanze, come testimoniano i molti reietti della società a cui ha dato accoglienza e di cui si è presa cura.
L’animazione, curata in maniera maniacale da Miyazaki (che pare abbia approvato personalmente ognuno dei 144000 fotogrammi che compongono il film, ritoccandone più di 80000 per adeguarli agli standard qualitativi ricercati) appare estremamente fluida e dettagliata, ricchissima a livello cromatico e, come da tradizione Ghibli, è per lo più di tipo tradizionale, cioè disegnata a mano, con pochissimi spezzoni animati e colorati a computer; spezzoni di cui comunque non vi accorgerete, dal momento che la grafica digitale è stata pensata per armonizzarsi perfettamente con l’animazione tradizionale.
Splendida l’evocativa colonna sonora composta da Joe Hisaishi, un habitué delle produzioni di Miyazaki, il quale ha scritto i testi degli unici due brani cantati, fra cui l’iconica Mononoke hime, interpretata dal giovane Yoshikazu Mera.
Princess Mononoke sbancò ai botteghini giapponesi, tanto da risultare per vari mesi il film di maggiore incasso di sempre, fino all’uscita di Titanic; ottenne un ottimo successo anche negli altri Paesi. Per lo più osannato da pubblico e critica, segnaliamo tuttavia la presenza di alcune voci fuori dal coro, come quella del “nostro” Paolo Mereghetti che, nel suo celebre Dizionario dei film, gli assegna due stelle e mezzo su quattro, affermando: “Secondo gli esperti non è la sua opera migliore, sconta una certa prolissità e il tema ecologista è a tratti un po’ risaputo“. Era giusto segnare la sua “autorevole” opinione (le virgolette non sono messe a caso), ma ce ne dissociamo ferocemente.
Proiettato per la prima volta in Giappone il 12 luglio 1997, Princess Mononoke fu distribuito nelle sale italiane il 19 maggio 2000 dalla Miramax, con un doppiaggio un po’ troppo “libero” rispetto all’originale. Nel 2014 ne è stata presentata una nuova edizione curata da Lucky Red con un nuovo adattamento curato da Gualtiero Cannarsi che appare eccessivamente letterale, quando non sgrammaticato, spesso troppo aulico e antiquato e, in definitiva, fuori contesto anche per il periodo Muromachi in cui l’opera è ambientata. Noi continuiamo a preferire (e di gran lunga) il primo doppiaggio che, al netto di qualche imprecisione, risulta comunque pregevole e non disturbante come il nuovo. Già, perché “disturbante” è forse la parola più adatta a descrivere il nuovo adattamento. Provare per credere. Da questo punto di vista, i film Ghibli non hanno avuto una degna sorte nel Belpaese. Questo per usare un eufemismo a proposito degli scempi cannarsiani.
Capolavoro imperdibile targato Studio Ghibli e pietra miliare dell’animazione tout court. Ogni film di Miyazaki è un’opera senza tempo, per grandi e piccini, che andrebbe visto, rivisto e tramandato ai posteri. Se ve lo siete perso, correte subito a rimediare.