Nelle colline che circondano Teheran, in Iran, è situata la prigione di Evin, che è molto di più di un semplice carcere: è il simbolo di un sistema oppressivo e della repressione politica del Paese. Questo luogo è diventato tristemente noto, a livello internazionale, a seguito di numerosi casi che hanno messo in luce le condizioni disumane in cui versano i detenuti e le pratiche brutali del regime. Costruito nel 1972 durante il regime dello Shah Mohammad Reza Pahlavi, fu concepito inizialmente come struttura per la detenzione di prigionieri politici. Dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, Evin è diventato il principale centro di incarcerazione per dissidenti, giornalisti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose. Anche la giornalista Cecilia Sala è stata detenuta in cella di isolamento lì.
Tra i prigionieri che hanno sfidato apertamente il regime, negli ultimi tempi è emerso quello di un’attivista curda, Pakhshan Azizi, il cui impegno e coraggio hanno attirato l’attenzione della comunità internazionale. La donna adesso rischia l’esecuzione, dopo che la sua condanna a morte è stata confermata dalla Corte Suprema iraniana. Azizi è accusata di aver fatto parte di gruppi armati curdi fuorilegge, che operano nella regione. Per Amnesty International, la donna è semplicemente un’operatrice umanitaria, attivista della società civile, che dal 2014 al 2022 ha prestato assistenza a donne e bambini dei campi profughi nel Nordest della Siria e nel nord dell’Iraq, sfollati dai territori controllati dallo Stato islamico.
La stessa Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani denunciano sistematicamente torture, abusi fisici e psicologici, e processi ingiusti per i prigionieri detenuti all’interno delle mura di Evin. Diverse Manifestazioni e petizioni stanno prendendo piede in molte città europee, chiedendo un intervento immediato per la tutela dei prigionieri politici e una condanna globale delle violazioni. Le famiglie delle vittime e gli attivisti sperano che l’attenzione mediatica possa salvare delle vite e spingere la comunità internazionale ad agire. I governi occidentali e le Nazioni Unite sono stati ripetutamente esortati a esercitare pressioni sul regime iraniano per garantire il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, la risposta internazionale è stata spesso tiepida e inefficace. Il tempo stringe per molti detenuti politici, che potrebbero rischiare di non essere mai salvati.
Altro simbolo della repressione iraniana è l’accademico svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, in carcere in Iran dal 2016 e a grave rischio di esecuzione dopo aver esaurito tutte le vie legali per annullare la sua condanna a morte. Docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria, ha insegnato nelleuniversità di Belgio, Italia e Svezia. È stato arrestato arbitrariamente il 26 aprile 2016 mentre era in viaggio d’affari in Iran e accusato di spionaggio.
Ma nel mondo sono ancora tanti i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri. Il 16 maggio 2024 Selahattin Demirtaş è stato condannato a 42 anni di carcere per aver minato l’unità dello Stato durante uno scoppio di violenza in Turchia nel 2014. Cristiana Chamorro Barrios, giornalista, politica e attivista nicaraguense, è stata condannata a 8 anni e nel febbraio 2023 liberata ed espulsa dal Paese. Jordi Cuixart i Navarro è un imprenditore e attivista spagnolo, dal 16 ottobre 2017 è in custodia cautelare in carcere accusato di sedizione in seguito alle manifestazioni di protesta durante l’Operazione Anubis. Khalida Jarrar è una politica palestinese e attivista per i diritti umani, è stata arrestata più volte dalle autorità israeliane. Nel marzo 2021, dopo essere stata detenuta senza accusa dal 2019, è stata condannata da un tribunale militare israeliano a due anni di carcere dopo un patteggiamento, in cui si è dichiarata colpevole di appartenenza a un’organizzazione, il FPLP, che Israele considera un gruppo terroristico. Ha dichiarato in seguito che il suo patteggiamento è dovuto alla natura estenuante dei procedimenti legali, alla mancanza di fiducia nei tribunali militari israeliani e alle minacce. È stata rilasciata il 26 settembre 2021 e nuovamente arrestata a Ramallah dall’esercito israeliano il 26 dicembre 2023.[9]