Elezioni del Presidente della Repubblica: quando ad essere sbagliati sono i giocatori e non le regole del gioco

di Francesco Mazzocca

La corsa al Quirinale che ha portato il Presidente Sergio Mattarella al suo secondo mandato ha lasciato parecchi strascichi, non tanto all’interno della maggioranza di governo, per la quale si è già detto della forzata convivenza di convenienza siglata al momento della nascita del governo Draghi, quanto in particolare all’interno delle coalizioni e degli stessi partiti. L’incapacità di produrre una soluzione condivisa per l’elezione del Presidente della Repubblica ha evidenziato innanzitutto la poca propensione dei leader di partito nel riuscire ad instaurare un dialogo costruttivo intorno a una figura, come quella del Capo dello Stato, che dovrebbe rappresentare la massima espressione dell’unità nazionale.

Se da un lato il centrosinistra si è trincerato dietro un silenzio assordante, con vedute anche differenti tra i vari leader, dall’altro il centrodestra, desideroso di imporre una linea senza aver fatto i conti con i numeri, ha bruciato una serie di nomi, tra cui anche la seconda massima carica dello Stato. Singolarmente, poi, i vari leader di partito ne escono maluccio, con addirittura più grattacapi rispetto a quanti ne avessero in precedenza.

Questa incompatibilità di fondo tra i vari protagonisti, mascherata fino a questo momento dalla guida Draghi, non ha fatto altro che riaprire il dibattito sulla reale capacità dei rappresentanti di riuscire a trovare soluzioni condivise e sulla concreta volontà di superare ostacoli in nome del Paese. Soprattutto in un contesto storico in cui la società civile deve fare i conti con una serie di problematiche quotidiane che stanno mettendo a rischio la tenuta della classe media. Dopo due anni di pandemia il Paese è sotto la morsa di una crescente disoccupazione, di un caro vita che si sta affacciando progressivamente provocando non poche difficoltà alle famiglie italiane, di un disagio sociale perennemente denunciato ma mai seriamente affrontato. A tutto ciò si aggiunge anche una sorta di indifferenza nell’affrontare questioni e temi fondamentali che coinvolgono i più elementari diritti della persona, con un’inerzia legislativa che si protrae ormai da tempo: basti citare il tema dell’eutanasia, per la quale ancora oggi si naviga a vista.

Proprio le reazioni dei leader di partito in seguito all’elezione di Sergio Mattarella, al quale va il ringraziamento per aver dato la sua pronta e piena disponibilità al secondo settennato, fanno riflettere sulla reale capacità di assumersi delle responsabilità nei confronti del Paese. Responsabilità che non possono appartenere ad altri, né possono essere addebitate ai meccanismi procedurali che, saggiamente, i nostri Padri Costituenti hanno previsto proprio per l’elezione del Presidente della Repubblica. Con un meccanismo di elezione indiretta della massima carica dello Stato i rappresentanti hanno il dovere di assumersi le responsabilità del caso, senza trovare alibi e senza nascondersi dietro presunti difetti dei meccanismi procedurali che, invece, funzionano perfettamente. Non sono le regole del gioco ad essere sbagliate, ma piuttosto i giocatori che decidono di adottare strategie poco avvezze alle soluzioni condivise, trincerandosi dietro ferme posizioni assolutamente improduttive. E questo vale sia per i meccanismi che portano alla produzione degli atti normativi, sia per le modalità di elezione delle cariche istituzionali.

Questa bontà delle procedure e questa centralità del Parlamento sono state anche ribadite nel discorso di insediamento del Presidente della Repubblica, all’interno del quale ci sono plurimi riferimenti all’efficacia del parlamentarismo. Nell’esaltare la centralità del Parlamento, le garanzie della più ampia partecipazione alle procedure decisionali e l’irrinunciabile spirito di condivisione che deve caratterizzare percorsi di indirizzo, emerge anche la ferma convinzione di respingere visioni accentratrici dell’esercizio politico e semplicistiche impostazioni plebiscitarie della rappresentanza.

Un tema, quello dell’analisi dei processi decisionali, e in particolare quello della semplificazione delle regole come rimedio ai mali immaginari della nostra democrazia, già ampiamente affrontato in dottrina da numerosi costituzionalisti. Riporto qui un passo del libro “La Costituzione ieri e oggi” di Valerio Onida, in cui si sintetizza il grande equivoco di fondo dei meccanismi decisionali: “Per decidere, per governare, sembra si sia disposti a ipersemplificare i meccanismi di formazione e trasmissione del consenso e di formazione delle volontà politiche. È questa forse la tentazione più ricorrente e più forte che si aggira fra molti di coloro che pensano a riforme costituzionali come ad un rimedio ai mali e alle difficoltà del paese. Il rischio è che si giunga a compromettere il rispetto di quell’equilibrio di poteri, in un contesto di partecipazione democratica rafforzata e non asfittica, che la Costituzione repubblicana postula e di cui pone le basi. In un paese come l’Italia, in cui si sommano gli storici difetti di un tessuto sociale tendenzialmente povero di strumenti capaci di mantenere un elevato livello di autonomia dai condizionamenti partigiani e quelli di una diffusa cultura dell’antipolitica come rigetto di tutto ciò che attiene alla salvaguardia e alla promozione delle esigenze della collettività…in un paese così fatto, dunque, la parola governabilità rischia di diventare il passepartout per soluzioni non di efficienza istituzionale, ma di estrema personalizzazione del potere e di impoverimento della democrazia”.

Più che incidere sui meccanismi procedurali facendo credere che ad essere sbagliate siano le regole del gioco, i nostri rappresentanti dovrebbero invece impegnarsi di più a rispettare queste regole per rispondere maggiormente alle istanze dei cittadini. Le riforme mancate, l’inerzia nell’affrontare temi fondamentali per restituire dignità alla persona, l’incapacità di comprendere i bisogni della comunità, il progressivo allontanamento dalla società reale: a cosa può servire una modifica dei meccanismi della rappresentanza se i rappresentanti, di qualsiasi appartenenza, hanno da tempo sconfessato quel circuito di responsabilità elettorale che rappresenta la base del rapporto fiduciario tra l’elettorato attivo e l’elettorato passivo?

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