“Parthenope”, presentato a Cannes in anteprima e a mezzanotte del 26 ottobre nelle sale cinematografiche italiane, ha riscosso grande successo soprattutto tra i giovani. E, in effetti, era proprio questa l’idea di Paolo Sorrentino: portare i giovani al cinema. Il film però ha creato un grande clamore tra detrattori e consensi positivi perché si parla di una Napoli senza veli, in tutte le sue contraddizioni (lo dice Luisa Ranieri interpretando una diva, una sorta di Sophia Loren, con un esaltante soliloquio). Ma perchè? Innanzitutto perché è un film irriverente per i benpensanti (vedi il miracolo di San Gennaro o il rapporto tra Phartenope e il cardinale interpretato da uno stupendo Peppe Lanzetta), perché il moralismo non appartiene a Napoli e ai suoi migliori rappresentanti. Parthenope è un distillato puro di Sorrentino che ora si fa maniera, ora s’impenna in audaci progressioni narrative, perfino tabù, è poesia vera, autentica, che s’innesta in uno scenario fantastico: il golfo di Napoli e i faraglioni di Capri. Infatti la fotografia è straordinaria.
Parthenope è una ragazza napoletana che nasce dal mare, dalle acque di Posillipo nel 1950 come una sirena. La famiglia vive all’ombra di Achille Lauro, armatore e ricco signore napoletano. Parthenope cresce bella e intelligente, arguta e ondivaga, tra sguardi lascivi e amori pericolosi che lambiscono l’incesto. E’ una donna libera, misteriosa, che fa della spontaneità, della curiosità, e della sua meravigliosa capacità di stupirsi un suo modo di stare al mondo. Se si concede lo fa per curiosità passando dal camorrista al prelato. Ed è proprio qui che Sorrentino affonda il suo tratto di regista, in momenti eccezionalmente sorprendenti: l’accoppiamento pubblico tra due rampolli di famiglie camorristiche per siglare la loro alleanza; la sequenza blasfema tra sangue di San Gennaro e sesso con un cardinale che di religioso ha molto poco. Ma Parthenope è di più. È la ragazza universitaria brillante che viene notata per la sua intelligenza dall’integerrimo professore interpretato da Silvio Orlando, anche qui l’attore, magistrale come il suo solito, produce un segmento del film che lascia il segno.
L’idea che vuole trasmettere il regista è lo scorrere del tempo, la lunghezza e l’ampiezza della vita di ciascuno di noi. Parthenope attraversa il lungo viaggio della vita nelle sue varie forme di abbandono, disperazione, divagazione simile a tutti gli altri esseri umani. Sceglie di vivere come sente e non come vorrebbero le convenzioni morali. Rifiuta di prostituirsi per il grande imprenditore, però poi accetta le avances del cardinale.
Parthenope, interpretata da un’esordiente Celeste Della Porta (esordio travolgente), cresce bella e triste come Napoli, tra amori, fallimenti e vittorie della vita, fino a ritrovarsi adulta interpretata da Stefania Sandrelli che nelle ultime battute del film dice “è stato meraviglioso essere ragazzi. E’ durato poco”. Ancora, quando le assistenti le chiedono perché non ha avuto figli, l’adulta Parthenope risponde “forse mi sono distratta”, proprio ad indicare la fugacità del tempo e del tutto che irrimediabilmente scorre.
Il film è diverso dall’ultima fatica cinematografica di Sorrentino “E’ stata la mano di Dio”; qui si parla sempre di Napoli con la sua incommensurabile bellezza, ma c’è anche tanta disperazione e insoddisfazione che avvolge lei e i suoi abitanti. Parthenope, per realizzarsi e seguire una carriera universitaria, deve trasferirsi a Trento. Come ha detto Sorrentino un un’intervista: “Per fare carriera bisogna andare via da Napoli, tanti giovani si trasferiscono per realizzarsi nella loro professione”. Il regista vuole mostrare Napoli nella sua bellezza ma anche nelle sue contraddizioni.
La colonna sonora è interpretata da giganti della musica come Frank Sinatra e Riccardo Cocciante, che Sorrentino riesce sapientemente a sistemare nei momenti giusti del film. Sicuramente un film da vedere perché è poetico e contraddittorio, audace e irriverente.