Dal Sud al Nord, dal Nord al Sud. Negli anni tanti si sono trasferiti nelle regioni settentrionali in cerca del terreno fertile per coltivare i propri sogni. Troppi, segnale che al Sud non si è stati abili ad intercettare queste istanze e a trattenere i propri figli. Ora, ai tempi del coronavirus, ai tempi in cui la paura procede all’inverso, dal Nord verso il Sud, quei sogni sono nel cassetto e lasciano spazio ai timori. Partiti con l’entusiasmo di dimostrare a sè stessi ed alla vita che era arrivato il momento di vivere da soli e costruire il proprio castello, ora si ritrovano, al pari di tutta l’Italia, colpiti da quelle normali e umane paure che il Covid-19 ha portato nelle case italiane. In tanti, vinti da queste paure, sono tornati a casa, in molti sono rimasti, soli, a vivere le loro nuove vite al Nord.
“Stare lontano da casa non è solitamente bello, in queste circostanze poi è ancora più avvilente, diventa tutto più preoccupante – ci racconta Alfredo, giovane laureato in Economia da diversi anni al lavoro a Milano – Persone che conoscono mi avevano avvertito del collasso del sistema sanitario milanese, quindi non oso immaginare cosa possa succedere se anche al SUD il virus dovesse avere lo stesso impatto. Per me tutti quelli che sono scappati giù in quella maniera incontrollata sono stati incoscienti ed hanno messo in pericolo anche gli stessi familiari“.
“Tantissimi sarebbero i motivi per tornare e credo che la maggior parte di noi nelle prime ore abbia pensato al come. Lo abbiamo fatto tutti. E sono ancora più certa che anche i genitori di quelli che voi chiamate ignoranti sarebbero andati a riprendersi i loro figli. Abbiamo paura e ne hanno anche le nostre famiglie – ci dice invece Maria Teresa, anch’essa laureata in Economia e dipendente di un’azienda milanese – la città sembra essersi svuotata, c’è gente in giro ma, per quanto mi riguarda ho totalmente cambiato la mia vita. Lavoro da casa, il mio lavoro me lo permette, e credo che anche gli altri del condominio credo stiano a casa, non ho mai visto così tante luci accese. Credo che il Governo avrebbe potuto fare tutto un po’ prima“.
Le fa eco ancora Alfredo: “Da più di 3 settimane a Milano la situazione è paradossale, quasi un film, con negozi vuoti e supermercati assaltati, almeno nei primi giorni. Il mio lavoro è cambiato, nel senso che la mia azienda mi ha dato subito possibilità di lavorare in remoto, da casa, e i clienti li incontriamo in video conferenza. Attorno a me vedo molta paura, secondo me anche gli stessi Decreti all’inizio sono stati resi attivi troppo tardi“.
Dal Sud sono in tanti ad essere partiti per Milano, come Santo che è nel capoluogo lombardo da 5 anni: “Tutto è così surreale, Milano è sempre stata una città estremamente viva. La mia vita è cambiata totalmente, da quando tornavo a casa solo per dormire, ora sono praticamente rinchiuso. Tutto è cambiato, anche nei rapporti interpersonali, noto una certa ansia, a volte anche fobia, non sono mancate infatti scene di supermercati assaltati. Massima comprensione per le forze dell’ordine che sono in strada a far rispettare le regole – continua – a loro e a tutti gli operatori sanitari vanno tutte le lodi. Bisogna parlarne sempre, fino allo sfinimento. La Sanità lombarda è al collasso, non dobbiamo far sì che succeda anche al Sud, bisogna restare a casa, gli stessi Decreti li reputo le armi giuste in questa guerra. Stare lontana da casa è la cosa un po’ più difficile – conclude – è stato bello ricevere le telefonate degli amici e dei parenti che si sono preoccupati per me, ma resto molto tranquillo e so che prima o poi potrò riabbracciare i miei nipotini. Per loro e soprattutto per i miei genitori ho scelto di restare qui“.
“Prima che fosse vietato fare sport all’aperto vedevo ancora troppa gente in giro – ci racconta Maria, ingegnere chimico di 25 anni a Milano – sui Navigli, infatti, carabinieri e poliziotti nei primi weekend chiusero i locali che erano ancora aperti. All’inizio la gente credeva che le restrizioni valessero solo per luoghi chiusi e quindi si riversavano nei parchi, vedevo gente che faceva finta di correre e invece affollava le strade impunemente. Col senno di poi, avrei voluto che il sindaco avesse preso misure più drastiche, invece ha sperato nel buon senso della gente“.
La Lombardia è certamente la regione più colpita, con Bergamo e Brescia che ormai sono messe in ginocchio dal boom di ricoveri e contagi. Proprio da Brescia raccogliamo un’altra testimonianza di due giovani lavoratori, Ottavio e Davide, tecnici ferroviari: “Ormai noi usciamo solo per andare a lavoro, in strada non c’è tanta gente ma i supermercati sono sempre affollati – ci dicono – La nostra vita è cambiata, siamo attenti a tutto, ma anche il nostro lavoro è molto cambiato, prima eravamo sempre assieme con i tanti colleghi allo scalo, ora però non è possibile. Già da tempo la nostra azienda si è attivata per fornirci gel igienizzanti e mascherine. Molte scelte non sono condivisibili – continuano – sarebbe stato meglio chiudere tutto anche se è comporta difficoltà. Le piccole aziende potrebbero morire e loro sono il polmone d’Italia. Restare qui – concludono – è stata la scelta più saggia per proteggere i nostri parenti. Tutto è difficile, viviamo una situazione tragica ma abbiamo fiducia che finirà e che potremo tornare ad una vita normale, riabbracciando finalmente le persone che ora ci mancano“.
Dal Nord al Sud, passando per il Centro. L’Italia è tutta unita nella sofferenza e nel sacrificio, come ci testimonia Giuseppe, dipendente di una multinazionale a Rimini: “La situazione in città è cambiata molto in pochi giorni anche perché si è preso atto che stavamo andando incontro a un’emergenza reale, attuale ma che non si era mai verificata. Si è passati da un sabato con gli amici a una quarantena, dallo scetticismo generale alla concezione che qualcosa di brutto poteva davvero accadere a tutti. Quello che preoccupa però è la spensieratezza di tante persone che potrebbero sempre decidere ancora di radunarsi – continua – ora però regna un silenzio interrotto solo dalle sirene della polizia che ci ricorda le norme e le nuove disposizioni del Governo, mentre gli schiamazzi notturni sono stati sostituiti da qualche striscione di incoraggiamento. Il lavoro è cambiato completamente, prima che cominciassimo a lavorare da casa si facevano turni per andare in ufficio e con i colleghi presenti si parlava a 2 metri di distanza, con sguardi cupi e di sconforto. A volte sembra tutto come se fosse finto, come se stessimo in una pellicola di un film – conclude – Le persone con cui mi rapporto sono molto coscienti, si attengono alle disposizioni delle normative. Queste, però, dovevano essere messe in campo subito, far trapelare la bozza del decreto del 7 marzo in anticipo ha diffuso caos e panico, con la fuga verso il sud di migliaia di irresponsabili. Al sud l’età media della popolazione è più alta rispetto al Nord e la Sanità non è allo stesso livello, i nostri cari sono esposti e vulnerabili“.
“Ho evitato di tornare a casa, spero che tutto ciò finisca il prima possibile per riabbracciare i miei cari, che oggi sono preoccupati per me – rincara la dose Riccardo, giovane collaboratore scolastico a Bologna – dove vivo io, a Imola, la situazione è normale, si prendono alla lettera tutte le normative del Governo. Purtroppo noi personale ATA siamo un po’ esclusi perché, nonostante le scuole chiuse, andiamo a lavoro, ovviamente con mascherina e tutto quello che serve per far sì che non ci sia alta probabilità di contagio. Il mio lavoro non è cambiato per nulla – continua – prima usavo i trasporti pubblici per arrivare a scuola, ora invece, nonostante i 23 km di di distanza da casa, mi muovo in auto. I cittadini si comportano molto bene e sono molto organizzati, al supermercato, ad esempio, c’è Amuchina all’entrata e uscita e si rispetta la distanza di un metro. Purtroppo – conclude – essere lontani da casa fa male, ma ci tengo molto al mio paese ed evito di tornare a casa. Spero che tutto ciò finisca quanto prima e che possa riabbracciare i miei cari“.
“La situazione è apparentemente tranquilla – continua Luca, giovane ingegnere meccanico ora a Firenze – attorno a me le persone sembrano comportarsi normalmente, anche se è incrementato il numero di chi porta la mascherina al supermercato. Al momento io sto lavorando da casa, ridurre il numero di persone a lavoro è la cosa giusta da fare per esporle meno possibile a contatti. Sono d’accordo a non fermare la produzione per evitare catastrofi economiche successive – continua – i DPI però non servono solo agli ospedali ma anche alle aziende private. Penso alle aziende che sono costrette a dover chiudere per mancanza di DPI, in quanto non avendone bisogno in condizioni normali non riescono adesso a reperirle sul mercato. Le grandi aziende metalmeccaniche che già fanno uso normalmente di mascherine sono sicuramente avvantaggiate ma non possono coprire con il loro stock la domanda di totale da parte dei suoi lavoratori. Non mi pesa essere lontano da casa, anche se a volte penso al fatto di essere solo qui e lontano da tutti – conclude – Se dovesse succedere qualcosa ai miei parenti sarei inerme, ecco perchè cerco di rimanere quanto più possibile in contatto con loro per qualsiasi cosa“.
Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni ragazzi partiti dall’Agro Nolano, in Campania. Con il loro bagaglio di sogni si sono messi in gioco, ma ora sono in una partita più grande di loro. In solitudine, senza un abbraccio da chi vorrebbero. Una nuova sfida che, come tutti, dovranno vincere e poi, anche per loro, partirà una nuova corsa. Ci sarà un nuovo mondo da ricostruire quando butteremo la mascherina e ci rimboccheremo le maniche. Come prima e più di prima, riprendendo a sognare.
[Fonte Foto: Social Up]