L’NBA si ferma per dire No al razzismo. I giocatori di pallacanestro negli USA non scendono in campo nella cosiddetta “bolla” creata ad hoc nel centro Disney di Orlando per giocare i playoff lontano da rischi di contagio da coronavirus. Alla base della scelte c’è l’escalation di violenza contro cittadini afroamericani. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il ferimento di Jacob Blake, afroamericano sparato alla schiena da un poliziotto dopo che l’uomo, che secondo i media locali aveva appena sedato una rissa, non si era fermato per farsi identificare dalla polizia.
Dall’ennesimo omicidio si sono scatenate ulteriori proteste che nel Wisconsin che hanno portato all’uccisione di due cittadini di colore ad opera di un suprematista bianco di soli 17 anni armato di fucile. I primi ad aderire alla protesta sono stati i Milwaukee Bucks che non sono scesi in campo in gara 5 dei playoff contro gli Orlando Magic. Rinviate a data da destinarsi anche le tre partite in programma nella notte italiana: oltre a Milwaukee-Orlando anche Houston Rockets-Oklahoma Thunder e Los Angeles Lakers-Portland Trail Blazers non si sono giocate. Più drastica la proposta dei Lakers e dei Los Angeles Clippers che hanno votato per la sospensione definitiva della stagione Nba dopo una lunga riunione tra tutti i giocatori in cui LeBron James si è fatto portavoce.
La protesta, che nel frattempo è stata lodata anche da Biden e Obama, ha coinvolto anche altri sport: dopo il basket professionistico maschile e femminile, infatti, hanno anche “scioperato” diverse squadre di baseball e calcio e si è fermato per un giorno il torneo di tennis di Cincinnati. Una protesta che non si era mai vista nel mondo dello sport a stelle e strisce.