(di Luigi Corcione) Quanto è importante la rete nelle associazioni? perché un grido isolato è meno efficace di un discorso corale?
Perché si vada oltre il concetto di sensibilizzazione fine a sè stesso è opportuno che si costruisca quel filo, più volte interrotto dai nodi del protagonismo dei tanti, che hanno confuso le battaglie di tutti con le battaglie proprie. E se tutti i nodi poi portano al pettine, questo appartiene sempre a chi bada più alla forma che al contenuto delle sue azioni. C’è un confine molto labile tra attivismo e protagonismo e, a differenza del confine tra l’oceano Pacifico e l’Atlantico in cui si tengono nette le proprie differenze, nel caso dell’associazionismo le due cose si confondono spesso, nonostante le differenti profondità dei mari.
Il rammarico più grande è che il protagonismo divide, svilisce le forze, e disperde le risorse che, messe insieme, potrebbero realmente costituire un peso specifico notevole nel scacchiere variegato di istruzioni, enti, politica. Ma, per fortuna, tra le tante persone incontrate lungo il cammino per la sensibilizzazione, ci sono anche quelle disposte a fare un passo indietro ed indicarti la rotta: sono quelle le più attive (nel senso pieno di “attivismo”).
È grazie a loro che si cresce e ci si pongono degli obiettivi concreti: quando la sfida di #micolorodiblu ha ritrovato nuova linfa, abbiamo impostato le cose in tal senso. Il concetto di rete è stato, invece, coniugato negli anni in varie declinazioni, più volte mal interpretate: noi abbiamo cercato di fare nostro il concetto che ne sintetizzasse a pieno il contenuto, senza protagonismi di sorta. Ponendoci un passo indietro, e qualora occorresse, sullo stesso passo. Nei progetti di inserimento lavorativo abbiamo trovato nell’Isis De Medici di Ottaviano e negli imprenditori che ci stanno accompagnando, dei compagni di strada che oltre al sostegno, propongono, rafforzano, veicolano il nostro messaggio.
Ora l’obiettivo è cambiare, veramente, qualcosa. Senza strillare, ma parlando chiaramente. Ad esempio, i dati sull’autismo, oggi, fanno riflettere: non sto qui a ribadire cifre, proclami, linee guida. Ciò che conta è riuscire a far capire che bisogna costruire veramente quel ponte che unisca le famiglie con le istituzioni, che vi siano dei fondi dedicati e che la parola “supporto” si traduca concretamente in strumenti efficaci ed alla portata di tutti che garantiscano la diagnosi ed il trattamento dei soggetti con disturbo dello spettro. Sembra paradossale, ma una società in cui un ragazzino autistico deve aspettare mesi, anni, per essere preso in carica, è una società precaria in cui tanti anni di sensibilizzazione hanno sì fatto registrare progressi nella consapevolezza, ma non sono bastati per lo step successivo: concretizzare. Ora è, e deve essere, quel momento.