“M. L’uomo della provvidenza”: Scurati continua con la storia romanzata del fascismo

di Annibale Napolitano

Con M. L’uomo della provvidenza Antonio Scurati propone il seguito del libro vincitore del premio strega 2019 M. L’uomo del secolo. Qui le vicende narrate iniziano a partire dai primi mesi del 1925, dal momento in cui Mussolini si ritrova nel suo appartamento alcova, in uno dei momenti più critici per lui e per il fascismo dopo la presa del potere dell’ottobre 1922, ovvero i mesi seguenti al delitto Matteotti.

L’alito è pesante, il dolore addominale opprimente, il vomito è verdognolo, striato di sangue. Il suo sangue.
I fogli inchiostrati planano nella pozza maleodorante. Impossibile leggere il giornale. Il suo corpo glorioso, gonfio di ipersecrezioni acide e di gas, ingoia aria e cerca ossigeno reclinando il capo all’indietro sul bracciolo del divano. Tutt’intorno, però, la stanza vortica in una giga di ferite aperte sulla mucosa ulcerata.

Il secondo romanzo su Mussolini e il fascismo di Scurati cambia però radicalmente pelle: da romanzo storico proletario/ popolare con narrazione di fatti e retroscena si passa ad un romanzo storico tradizionale, mettendo da parte fatti essenzialmente legati alle gesta di reduci della grande guerra sui passi di D’Annunzio e successivamente di squadristi alla conquista del potere e dei “rossi” del Partito Socialista Italiano e delle altre componenti della sinistra dell’epoca alla difesa del buon numero di amministrazioni locali e dei seggi parlamentari. Ovvero, più che un romanzo assume le vesti di un diario di bordo di personaggi storici che per quanto “rivoluzionari” sono diventati istituzionali e tradizionali al massimo grado nella difesa di se stessi e del potere instaurato.

Alla disputa tra Farinacci e Augusto Turati nella lotta interna al Partito Nazionale Fascista si accompagnano le gesta colonialiste dei vari Graziani e Badoglio sulla quarta sponda (ovvero le regioni della Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) con il racconto dell’autore dei campi di concentramento per le popolazioni locali.

Poco lo spazio per le innumerevoli amanti del Duce, per lo più preoccupato all’interno del romanzo nel dare una sistemazione adeguata alla figlia con il matrimonio giusto. La Sarfatti, amante della prima ora, sua più stretta collaboratrice negli anni della presa del potere, viene relegata al ruolo sempre più di una patetica seconda moglie da allontanare quanto prima.

Sono gli anni del confino e dell’esilio invece per molti protagonisti delle vicende politiche precedentemente raccontate nello splendido primo romanzo. Insomma, non ci si poteva aspettare un romanzo della stessa intensità e ritmo del primo anche per la grande diversità degli eventi storici raccontati. Da processi rivoluzionari si passa a romanzare eventi di quotidiana amministrazione (se così si possono descrivere gli intrighi interni al Partito Fascista e la conquista definitiva della Libia), con l’instaurazione in modo automatico della dittatura praticamente senza più opposizioni sul campo dopo l’Aventino delle stesse successivo al delitto Matteotti. Manca il pathos dei retroscena del primo romanzo, e la lettura ne risente decisamente nell’andamento.

Il romanzo si chiude con queste frasi, a testimonianza del decennale della Marcia su Roma e dei morti che il Fascismo e il suo Capo commemorano nella Sala U.

Il coro dei morti, con quel suo ripetere ossessivo, cantilenante la menzogna del presente, sfuma nel borbottio digestivo del ruminante, al tempo stesso primordiale e futuribile, in un’eco che solo in apparenza riverbera il passato prossimo della rivoluzione fascista nel decennale del suo avvento. Per chi sa tendere l’orecchio al luogo delle risonanze- e Benito Mussolini, fosse anche incapace d’altro, questo lo sa fare- il coro dei morti giunge alla Sala U non dal passato ma da un avvenire imminente.

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