Diciamocelo subito e senza mezzi termini: l’Italia non è un paese per giovani. A dirlo sono i dati, non sono i social nè i giornalisti: quasi il 7% dei laureati italiani scappano dall’Italia. Secondo i dati comunicati da L’Espresso, che a fine 2019 ha triangolato i risultati di ricerche dell’OCSE e dell’ISTAT, si rileva che “sul contingente di italiani lavoratori nelle 36 economie più grandi, scopriamo che ci sono più di 600 mila laureati che attualmente vivono e lavorano in questi 36 paesi. Sono circa il sei per cento di tutti i laureati italiani“. Questo vuol dire che molto probabilmente il vostro compagno di banco in aula all’università dopo la proclamazione potrebbe partire e lasciare l’Italia.
La disoccupazione giovanile
Non va meglio però a chi resta in Italia: l’Istat ha calcolato che il tasso di disoccupazione a gennaio 2020 è stabile al 9,8%, mentre quella giovanile sale al 29,3% (+0,6 punti percentuali). L’Istat evidenzia anche la lieve crescita delle persone in cerca di lavoro tra i 15-24enni, quindi chi esce dalle scuole superiori trova le porte del mondo del lavoro spesso sbarrate e, il più delle volte, viene “parcheggiato” all’università in attesa di un titolo per cui c’è il rischio che potrebbe portargli solo benefici morali e non pratici. Dati confermati dalle ultime ricerche dell’Unione Europea per cui il 31% delle 15-24enni non ha un impiego, così come il 27,8% dei coetanei maschi. Aumenta, invece, tra i 15-34enni, il tasso di inattività (34,4%, +0,1 punti percentuali). L’Istat evidenzia anche un lieve calo dell’occupazione (-0,1%, pari a -15mila unità), in particolare, per i lavoratori indipendenti (-38mila); aumenta invece l’occupazione tra i dipendenti (+23mila), oltre che tra i 25-34enni (+11mila) e gli over 50 (+36mila).
La fuga dal Sud
I dati degli ultimi mesi potrebbero risentire degli effetti della crisi sanitaria ma la vera crisi occupazionale giovanile ha ormai radici ben radicate e datate. Basti considerare i dati Svimez fino al 2019: gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). Nei prossimi anni, inoltre, ci sarà un lento ma costante esodo che porterà il Centro-Sud a diminuire la popolazione di circa 1 milione e mezzo. Il calo demografico ed occupazionale, quasi sicuramente, verrà compensato dai flussi migratori e dai nuovi lavoratori. Una situazione da analizzare e correggere senza populismi. In Italia c’è il più alto tasso di distorsione della realtà in Europa: il 17,4% crede che in Italia ci sia il 25% di immigrati a fronte di un reale dato che invece si assesta al 7%. Più che un’invasione c’è un esodo, più che accogliere troppo stiamo troppo poco garantendo lavoro ai nostri giovani.
La depressione giovanile
Tutto ciò comporta una condizione psicofisica delicata. Secondo l’ISTAT, in Italia 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) hanno sofferto nel corso del 2015 di depressione. Si stima che il 7% della popolazione oltre i 14 anni (3,7 milioni di persone) abbia sofferto nell’anno di disturbi ansioso-depressivi. Al crescere dell’età aumenta la prevalenza dei disturbi di depressione e ansia cronica grave (dal 5,8% tra i 35-64 anni al 14,9% dopo i 65 anni).
L’Italia non è un paese per vecchi
Non va meglio, però, neanche agli anziani. Sempre secondo l’Istat, al 2019, il 24,7% delle donne anziane ha gravi limitazioni nelle attività quotidiane (contro il 18% degli uomini) e il 48,1% ha tre o più malattie croniche (contro il 33,7% degli uomini).
Vietato sognare
Che Paese esce quindi da questi dati? L’Italia, essenzialmente, dice no ai sogni e agli affetti. Una grande fetta di giovani si trova sin da subito in un limbo: rimanere in Italia, dove ci sono le proprie radici, o tentare fortuna all’estero? Restare in Italia, tra l’altro, comporta sacrifici che forse in altri Paesi sarebbero molto ridimensionati. Inseguire un sogno in Italia resta difficilissimo, sia per le politiche giovanili sempre più fumose che per la mancanza di opportunità. La fiducia nei giovani diminuisce sempre di più: viene richiesta manodopera giovane ed esperta senza che però vengano poste le basi per coltivare precedentemente questa esperienza. Colpa, molto probabilmente, di una classe politica che punta molto sul consenso immediato e ben poco sui progetti futuri di sostenibilità.
Conclusi gli studi, i giovani si trovano a dover fare i conti con la realtà. Chi ci prova, in preda allo sconforto, spesso si accontenta di fare ciò che non gli piace, di reinventarsi e trasformarsi. Eppure, in un mondo sempre più globalizzato, dove da qualsiasi posto puoi entrare in contatto con ogni angolo della Terra, non dovrebbe essere così difficile realizzarsi e contribuire allo sviluppo della società, della propria società. Spostando l’attenzione su altre problematiche (molto spesso gonfiate ad hoc), la politica nega l’evidenza: il diritto a sognare in Italia non è garantito. Il Paese più bello del mondo, ad oggi, lo è solo su Instagram. Le storie di successo fanno rumore, quelle di sconfitte e rassegnazioni restano dietro il sipario. Dall’ombra, però, milioni di giovani reclamano il loro diritto: tornare a sognare nella propria terra.