Tra il trasformismo e la libertà di scelta: l’eterno dilemma del rappresentante politico

di Francesco Mazzocca
29 Dec 1971, Rome, Italy --- Senators and Deputies fill the flag-draped Chamber of Deputies to witness President Giovanni Leone (standing at second highest row of desks facing deputies) take the oath of office. --- Image by © Bettmann/CORBIS

Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito all’affermazione della logica delle tifoserie di partito e, allo stesso tempo, al loro stravolgimento: dal sostegno incondizionato alla riforma costituzionale del 2016 a Matteo Renzi (ora uscito dal PD), fino alla cieca giustificazione delle giravolte del Movimento Cinque Stelle (col paradosso, in qualche caso, che siano stati medesimi soggetti a difendere le due posizioni, a distanza di qualche anno, non è un segreto il passaggio di molti elettori dal centro sinistra al movimento populista).

La strenua difesa delle posizioni avviene spesso in nome della tessera di partito, uno strumento che non solo sacrifica e oscura la libera e autonoma scelta di ogni singolo, ma costringe anche a ingoiare rospi per colpa di imprevedibili alleanze di comodo, nonostante una bellissima previsione sulla libertà di voto contenuta nella nostra Costituzione.

Ma la politica è come l’amore, senza regole, e così finisce che quelle tifoserie, che per anni si sono lasciate andare ai peggiori anatemi, a un certo punto si incontrano, si alleano e finiscono non solo per dimenticare il passato per ragioni di convenienza, ma, in questo modo, anche per perdere le rispettive identità, quelle che in precedenti contesti politici avevano permesso di tracciare confini invalicabili tra gruppi di soggetti che avevano, almeno nelle buone intenzioni, idee diverse, ma soprattutto coerenti, sulla struttura della società.

Insomma, come in amore, prima ci si odia e poi può prevalere l’affetto. O viceversa: per esempio se oggi si votasse per la conferma della riforma costituzionale come nel 2016, il PD sarebbe spaccato tra un sì e un no a seconda di chi segue Renzi; se oggi si votasse per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, i grillini voterebbero sì in massa. Il mutamento di pensiero su un oggetto, una situazione o una questione è spesso salutato come sintomo di intelligenza: sarebbe così se il processo che determina la nascita di idee diverse, e in alcuni casi in contrapposizione a quelle precedentemente sostenute, si basasse su un oggettivo esame della realtà orientato da valori indiscutibili; ma spesso cambiare idea è solo l’espressione del più sfrenato trasformismo, che nella politica attuale si realizza ormai non solo con cambi di maglia, ma anche con alleanze segnate da un profondo opportunismo, in qualche caso l’unico motivo per restare in vita.

Mi sono sempre chiesto se basti una tessera di partito per “prendere posizione”, per dire agli altri da che parte uno sta. Per molti è stato così: rifugiarsi ipocritamente in un simbolo di partito ha significato farsi trasportare dalla corrente e delegare agli altri personali decisioni; in questa opera di scelta indiretta i singoli hanno dimenticato l’essenza della scelta stessa, che non può essere effettuata per partito preso, non può essere un pregiudizio che si riduce nel “noi siamo meglio degli altri“: la dimostrazione definitiva è che hanno finito per farsi travolgere dalle contraddittorie scelte degli altri, accettandone passivamente le decisioni. L’esito di questo processo è disastroso, perchè si difende un simbolo privo di contenuto.

È uno dei dilemmi più ricorrenti nella storia della politica, e si intreccia anche con la libertà di scelta riconosciuta ai singoli parlamentari in Costituzione: ubbidire alla logica di squadra e alla disciplina del partito, oppure scegliere autonomamente in piena coscienza. Se votare in base alle indicazioni del proprio partito è parzialmente comprensibile per i rappresentanti, perché spesso è necessario per salvare la poltrona, non si può tollerare invece che i rappresentati seguano ad occhi chiusi chi dovrebbe fare i loro interessi. Siamo in un’epoca in cui tocca masticare amaro per via di una sciatta politica, in cui l’opportunismo regna incontrastato e finisce per tradire precedenti impostazioni di principio che, seppur sbagliate in qualche caso perchè frutto di decisioni aprioristicamente configurate, hanno illuso gran parte dell’elettorato che aveva confidato in una qualche espressione di coerenza.

“È una questione politica, na grande presa per culo; in questa nuova Repubblica non mi somiglia nessuno…prendilo tu questo frutto amaro.”

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