Lo scorso primo Dicembre la legge n.898/1970, meglio conosciuta come legge sul divorzio, ha compiuto 50 anni. Dopo 19 ore di seduta, nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1970, questa legge venne approvata dal Senato diventando il simbolo della laicità dello Stato. L’entrata in vigore della legge sul divorzio rappresentò il punto di svolta nella storia italiana moderna.
Il divorzio giunse in Italia agli inizi del 1800 con il Codice Napoleone che permetteva lo scioglimento dei matrimoni civili. La Legge all’epoca venne poco considerata poichè complicata da applicare. Nel 1902 il Governo Zanardelli elaborò una proposta di riforma che non venne approvata. Dopo il 1902 seguirono le due guerre mondiali, il fascismo, i Patti Lateranensi e la Democrazia Cristiana. L’Italia per molti anni rimase senza una precisa legislazione che disciplinasse il divorzio. Il lungo iter parlamentare prese piede nell’ottobre del 1965 quando il deputato socialista Loris Fortuna presentò un progetto di legge sui “Casi di scioglimento del matrimonio”. Egli precisò che l’Italia era l’unico paese fra quelli del MEC a non riconoscere legalmente il divorzio. Il 7 ottobre del 1968 il liberale Antonio Baslini presentò un nuovo progetto di Legge sul divorzio, più moderato rispetto alla proposta Fortuna. La Legge Fortuna ottenne alla Camera, nella prima votazione del novembre 1969 a scrutinio segreto, 325 voti favorevoli e 283 contrari. La discussione passò al Senato che votò il 9 ottobre 1970 un testo emendato con elementi del disegno legge Baslini, approvandolo con 164 voti favorevoli e 150 contrari. Il testo emendato ritornò alla Camera che approvò in via definitiva la legge Fortuna-Baslini (319 sì e 286 no).
Il 2 dicembre il quotidiano Avvenire lanciò un appello per indire immediatamente un referendum per abrogare questa nuova legge. Furono raccolte quasi un milione e mezzo di firme che fece ben sperare per una vittoria schiaccante alle urne. Perchè venne richiesto il referendum? Nell’ottobre del 1946, quando il tema famiglia divenne al centro delle discussioni dell’Assemblea Costituente, l’Italia era un paese martoriato dal secondo dopoguerra. Per i democristiani i diritti e doveri della famiglia erano “il nucleo fondamentale di tutta la Costituzione”, poichè la famiglia era considerata una comunità naturale basata su principi etici e spirituali preesistente al diritto positivo. Pertanto, prima la famiglia, poi lo Stato. Secondo l’Assemblea Costituente e i democristiani, il matrimonio costituiva il vincolo naturale e indissolubile che legava i suoi contraenti, mentre la famiglia era un’alleanza sacra e inviolabile che durava tutta la vita.
Nella Costituzione i diritti della famiglia sono trattati negli artt. 29-31 e sanciscono che: “la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio. Questo si basa sulla libertà di scelta del proprio coniuge per il carattere volontario dell’atto costitutivo della comunità familiare. I coniugi hanno eguaglianza morale e giuridica. I genitori hanno il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli. Lo Stato ha il dovere di integrare, se necessario, l’azione dei genitori. I figli hanno uguaglianza di diritti sia nati in costanza del matrimonio che fuori dal matrimonio”.
Il risultato del referendum colse tutti di sorpresa. Difatti, la vittoria dei favorevoli al divorzio, sancita dal 59.3% dei favorevoli contro il 40.7% dei contrari, fu schiacciante. Il successivo referendum per l’abolizione della legge del 1º dicembre 1970, riproposto nel 1981, raggiunse il quorum del 70%. La nuova legge divenne indispensabile per imprimere i caratteri di civiltà all’istituto del divorzio e superare le visioni arretrate della società di allora. Si pose la necessità di superare le perplessità per cui il divorzio avrebbe sgretolato la famiglia. Si cercò di convincere i cittadini che non si poteva programmare la propria vita e che un matrimonio poteva fallire. Inoltre, non concedere a un individuo la possibilità di sciogliere un rapporto che non funzionava più da anni, rappresentava un limite alla libertà individuale.
Il divorzio dette l’opportunità per impedire a una coppia di ricorrere a meschini sotterfugi e finzioni. La Legge sul divorzio costituì uno strumento di educazione, poichè permise ai figli di evitare di assistere a continue tensioni coniugali che certamente non favorivano un ambiente sano per una crescita equilibrata. La Legge sul Divorzio del 1970 è stata modificata dalle leggi 436/1978 e 74/1987, che ha ridotto il periodo di separazione da 5 a 3 anni. La legge è stata poi rivisitata nel mese di febbraio 2012, quando la Commissione Giustizia della Camera espresse parere positivo al testo sul divorzio breve, contenente “Disposizioni in materia di separazione giudiziale tra i coniugi”.
Questo testo non prevede più il limite di tre anni di separazione per la proposizione dell’istanza di divorzio. Infatti, i coniugi dovranno attendere un anno o massimo due, se la coppia ha figli minorenni. Inoltre viene previsto che la comunione tra marito e moglie si sciolga nel momento stesso in cui il magistrato autorizzi la coppia a vivere separata. Infine, la legge n.55/2015 ha ridotto ulteriormente i tempi, permettendo il divorzio dopo un anno di separazione giudiziale e dopo sei mesi di separazione consensuale.
In conclusione, si può certamente affermare che il divorzio abbia costituito un importante traguardo per la società italiana, poichè ha determinato lo scioglimento di vincoli matrimoniali apparentemente solidi, ma svuotati di qualsiasi sentimento e complicità tra i coniugi. È anche vero che oggigiorno ci si separa con più facilità, certe volte anche con molta superficialità, oltre ad assistere ancora a deplorevoli teatrini coniugali fatti di apparenza e finzione, che si trascinano per amore dei figli e per non sottostare alle maldicenze di paese. La legge sul divorzio rappresenta sicuramente un’importante vittoria per l’Italia del boom economico, ma siamo sicuri che sia stato davvero compresa l’entità di questa legge e che siano stati davvero superati i pregiudizi sulla stessa? Ai posteri l’ardua sentenza.