Nelle ultime settimane l’Italia è rimasta con il fiato sospeso per la vicenda della giornalista Cecilia Sala, detenuta presso il carcere di Teheran, in Iran. Vediamo cosa dice il diritto internazionale sui detenuti all’estero. Prima di tutto, sottolineiamo che il trasferimento di una persona detenuta da uno Stato ad un altro Stato avviene secondo diverse procedure.
Si parla di “estradizione” per indicare quella forma di cooperazione giudiziaria che porta alla consegna da parte di uno Stato ad un altro Stato richiedente di una persona che sia: ricercata; oggetto di una sentenza di condanna definitiva ad una pena detentiva o ad una misura di sicurezza privativa della libertà personale (si diche in questo caso “estradizione esecutiva“); oggetto di una ordinanza di custodia cautelare in carcere (in questo caso si parla di “estradizione processuale“). La materia dell’estradizione è disciplinata: nell’ordinamento italiano, dalla Costituzione attraverso gli articoli10 e 26; dalla legge ordinaria attraverso gli articoli 13 del Codice Penale e 696 e 722 del Codice di Procedura Penale; dalle Convenzioni internazionali e dalle norme di Diritto internazionale generale che prevalgono sulle norme di legge ordinaria.
Negli ultimi anni, tuttavia, le forme di cooperazione hanno ricevuto, in ambito europeo, un forte impatto con l’approvazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo, attuata in Italia con la legge del 22 aprile 2005 n. 69, che ha sostituito, tra i venticinque Paesi membri dell’Unione, il sistema dell’estradizione con quello di una consegna semplificata dei ricercati, fondata sul mutuo riconoscimento, alla quale sono seguite altre decisioni quadro, finalizzate ad attuare il principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziaria agevolando la cooperazione giudiziaria in materia penale. A tal proposito, inoltre, deve essere ricordata la Decisione Quadro 2008/909 sull’applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle sentenze penali che applicano pene detentive o misure privative della libertà personale, per la loro esecuzione nell’Unione Europea. Tutti questi atti, tuttavia, non hanno finalità umanitarie, ma sono destinati a creare un nuovo sistema semplificato di consegna di persone ricercate a scopo di giustizia.
Si parla invece di trasferimento delle persone condannate per indicare la procedura di un condannato che sta già scontando la pena in un paese e viene trasferito in un altro paese per proseguire e terminare l’esecuzione della pena. Il principale mezzo per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d’Europa del 21 marzo 1983. Ai sensi dell’art. 3 della Convenzione una persona condannata può essere trasferita se ricorrono le seguenti condizioni:
- la persona condannata è cittadino dello Stato di esecuzione;
- la sentenza è definitiva;
- la durata della pena che la persona condannata deve ancora scontare è di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata;
- la persona condannata acconsente al trasferimento o uno dei due Stati, in considerazione della sua età o delle sue condizioni fisiche o mentali, lo ritenga necessario;
- gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio;
- lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione sono d’accordo sul trasferimento.
Oltre al consenso della persona condannata, è necessario anche l’accordo dei due Stati, soggetti a dei precisi obblighi, secondo quanto previsto dall’art. 4, ovvero:
- se la persona condannata ha espresso allo Stato di condanna il desiderio di venire trasferita in applicazione della Convenzione, quest’ultimo deve informare lo Stato di esecuzione il più presto possibile dopo che la sentenza è divenuta definitiva;
- se la persona condannata ha espresso allo Stato di esecuzione il desiderio di essere trasferita, sempre in applicazione della Convenzione, lo Stato di condanna comunica le informazioni allo Stato di esecuzione, se questo le richiede
La persona condannata deve essere informata per iscritto di ogni azione intrapresa dallo Stato di condanna o dallo Stato di esecuzione e ogni decisione presa da uno dei due Stati in merito ad una richiesta di trasferimento. Una volta verificata l’ammissibilità della richiesta di estradizione, parte la fase giurisdizionale davanti alla Corte d’Appello del distretto in cui è stata pronunciata la sentenza di condanna. Quest’ultima è soggetta a ricorso per Cassazione da parte del procuratore generale e dell’interessato. Infine, bisogna sottolineare che la Decisione Quadro 2008/909/GAI sull’applicazione del principio del mutuo riconoscimento affrontata prima, per l’esecutività nell’Unione Europea, doveva essere adottata dagli Stati membri entro il 5 dicembre 2011 attraverso strumenti legislativi volti ad attuare i principi della direttiva. Secondo la Convenzione, il trasferimento per l’esecuzione della parte residua della pena è previsto solo verso lo Stato di cittadinanza della persona condannata e solo dietro consenso della persona stessa e degli Stati interessati.
Attualmente migliaia di cittadini italiani sono imprigionati all’estero. Il sistema giuridico penale in molti Paesi è diverso da quello Italiano, per cui un italiano detenuto all’estero è penalizzato dalla scarsa familiarità con il sistema giudiziario locale, oltre alla cultura e alla lingua del posto. Inoltre, in alcuni casi, le condizioni carcerarie sono molto più dure che in Italia. A ciò si aggiunge che il Ministero degli Affari Esteri, le ambasciate ed i consolati hanno poteri limitati in situazioni del genere. Se si infrangono le leggi di un altro Paese si è soggetti al sistema giudiziario di quel Paese e ci sono dei passi importanti da seguire per mettersi in contatto con i familiari, ricevere una prima assistenza in carcere e soprattutto stabilire una strategia difensiva per il rimpatrio.
Nel caso di arresto in un Paese straniero, ai sensi della Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, il cittadino italiano ha il diritto di chiedere la protezione del proprio Consolato che prevede che uno o più funzionari dell’ambasciata o del consolato: renda visita al detenuto in carcere; fornisca nominativi di avvocati locali; avvisi i familiari del detenuto su suo espresso consenso; assicuri, quando necessario e se consentito dalle norme locali, assistenza medica e generi di prima necessità al detenuto.
I funzionari italiani all’estero, inoltre, intervengono per il trasferimento in Italia qualora il connazionale sia detenuto in Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti o con cui siano in vigore accordi bilaterali. E’ opportuno poi ribadire che il mandato a farsi rappresentare è conferito personalmente in carcere dal detenuto all’avvocato. Nel caso in cui si abbia difficoltà a contattare e conferire l’incarico ad un avvocato straniero, è opportuno rivolgersi ad uno studio legale italiano specializzato in casi di connazionali arrestati o detenuti all’estero.
Nello specifico, venendo al caso di Cecilia Sala, la giornalista è stata arrestata in albergo a Teheran mentre si trovava nel paese con un regolare visto giornalistico per lavorare ad alcune nuove puntate del podcast “Stories”. La giornalista è stata arrestata, secondo le fonti iraniane, “per aver violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran”. La notizia del suo arresto è stata resa nota dal Ministero degli Esteri italiano solo il 27 dicembre e la detenzione è avvenuta in regime di isolamento.
L’arresto di Cecilia Sala è avvenuto tre giorni dopo quello dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto a Milano su richiesta degli Stati Uniti, accusato di aver fornito materiale tecnologico militare alle guardie rivoluzionarie iraniane. L’arresto ha avuto un forte eco politico. Il 1º gennaio 2025 il Ministero degli Esteri italiano ha infatti chiesto alle autorità politiche iraniane delle “garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecilia Sala”, richiedendone la liberazione immediata. Contestualmente, il rilascio è stato chiesto all’Iran anche dall’Alta rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Kaja Kallas, e dal Dipartimento di Stato degli USA. Il 2 gennaio 2025 l’ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri, ha confermato che la detenzione di Cecilia Sala in Iran era legata a quella dell’ingegnere Mohammed Abedini Najafabadi di cui l’ambasciata iraniana aveva richiesto il rilascio. In seguito a negoziati fra i governi italiano, iraniano e statunitense, l’8 gennaio, dopo una comunicazione ufficiale della Presidenza del Consiglio, è stato deciso il rilascio di Sala ed organizzato il suo rientro in Italia.