Cos’è per la Legge italiana un Parco Archeologico?

di Carolina Cassese

A Nola, da giorni, sta tenendo banco la questione del Parco Archeologico Urbano e del suo inutilizzo. Vediamo, dal punto di vista normativo, lo Stato italiano cosa prevede circa l’istituzione e la tutela dei parchi archeologici. Il Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. 42/2004, art. 101, comma 2, lett. d) definisce genericamente le aree archeologiche come: «un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica». Viene, così, superata quella “opzione classicista” della pregressa legislazione, recepita dal Testo Unico dei Beni Culturali (D.Lgs. 490/1999 Articolo 99, comma 2, lettera b) con la definizione di area archeologica come «un sito su cui insistono i resti di un insieme edilizio originariamente concluso per funzione e destinazione d’uso complessiva».

In pratica, il concetto giuridico di area archeologica si sovrappone ora quasi completamente con quello di sito archeologico, definito ancora nel 1961 da Lewis Binford come «un luogo in cui si conservano tracce dell’attività umana del passato e che è o è stato indagato attraverso l’impiego di metodologie archeologiche». La componente metodologica, collegata all’approccio archeologico, viene in questo caso evidenziata e, in effetti, il termine sito archeologico trova applicazione sistematica nel lessico scientifico mentre è del tutto assente in quello giuridico, dato che la procedura di indagine non rileva strettamente ai fini dell’individuazione di un’area comunque archeologica.

Nella legislazione del nostro Paese il concetto di area archeologica si affianca a quello di “zona archeologica”, previsto dall’art. 142, comma 1, lettera m del Codice dei Beni Culturali, che recepisce l ’art. 1, comma 1, lettera m della cd. Legge Galasso (L. 431/85). Non è ancora disponibile una specifica ed esauriente definizione formale di tali contesti a rilevanza archeologico-paesaggistica, per i quali negli atti preliminari alla definizione del Piano Paesaggistico Regionale del Veneto, ad esempio, abbiamo proposto la seguente: «Zona in cui, sulla base di informazioni desunte dalle fonti storico-archivistiche o dalle diverse metodologie di prospezione e indagine archeologica, si individua un contesto di giacenza del patrimonio archeologico». La giurisprudenza ha infatti chiarito che: “La zona di interesse archeologico (ai sensi dell’art.142, c. 1, lett. m) del Codice) è tutelata in virtù dell’attitudine che il suo profilo presenta alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico in essa localizzato” (Corte di Cassazione, sentenza n° 7114 del 23.02.2010). Inoltre: “Il legislatore inserendo tra le aree vincolate per legge anche quelle su cui insistono beni di interesse archeologico ha inteso tutelare anche il relativo territorio, elevando direttamente lo stesso ad area meritevole di protezione paesaggistica” (Consiglio di Stato, sentenza n° 879 del 28.02.2006).

Rispetto al “sito” (ambito della scienza) e alla “zona” (ambito della tutela), l’area archeologica, seppur non espressamente, attiene, quindi, all’ambito della valorizzazione, come si evince anche dalla proposta di definizione contenuta nelle “Linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici (D.M. 18.04.2012) come: “Un sito archeologico, di proprietà pubblica o privata, aperto alla pubblica fruizione, con o senza biglietto di ingresso”. Rispetto alla semplice “area” la definizione normativa di “parco archeologico” (art. 101, comma 2, lettera e del Codice) qualifica quest’ultimo più specificamente come un «ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto», semplificando la precedente analoga definizione del T.U. 490/1999 (art. 99, comma 2, lett. c) che aggiungeva pleonasticamente “…, in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici”.

La strutturazione in senso di maggiore complessità organizzativa dei parchi è stata giustamente enfatizzata con la proposta di definizione contenuta nelle citate “Linee guida”, secondo le quali: «Un parco archeologico è un ambito territoriale caratterizzato da importanti testimonianze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, culturali, paesaggistici ed ambientali, oggetto di valorizzazione ai sensi degli artt. 6 e 111 del D.Lgs. 42/2004, sulla base di un progetto scientifico e gestionale». La presenza di consistenti resti archeologici e di valori storici, paesaggistici e ambientali (non necessaria per le semplici are e) è invece condizione necessaria, ma non sufficiente, per la qualificazione specifica come parco archeologico, che è anche l’esito di uno specifico progetto di tutela e di valorizzazione (modalità di fruizione e comunicazione) e di un piano di gestione (condizioni di sostenibilità finanziaria).

Riassumendo, possono, quindi, individuarsi propriamente come aree archeologiche tutti quei siti archeologici aperti alla pubblica fruizione che non hanno le caratteristiche tipiche dei parchi. Questa condizione di concreta fruizione, tuttavia, ricorre solo per alcune e non certo tutte le numerose aree archeologiche di competenza del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, sovente mai approdate all’apertura al pubblico. In alcuni casi si tratta di annose problematiche di mancato completamento delle opere di valorizzazione prodromiche a tale apertura, bloccate da esaurimento dei fondi necessari o da difetti della loro progettazione/esecuzione, ma più spesso si tratta di aree già pronte e  disponibili alla fruizione per le quali è mancato un progetto sostenibile, anche minimo, di gestione.

Ma cosa sono i parchi archeologici? Il parco archeologico è un ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di  importanti testimonianze archeologiche, insieme a valori storici, paesaggistici o ambientali, organizzato e gestito per assicurarne  la  fruizione  e  la valorizzazione a fini scientifici e culturali. Sono equiparati ai parchi archeologici i complessi monumentali e, in particolare, santuari, chiese campestri, luoghi di culto,  torri e sistemi di difesa costiera, edificati anche in epoche diverse e che, con il tempo, hanno acquisito per la Sardegna, come insieme, una    autonoma rilevanza artistica, storica ed etnoantropologica.

I parchi archeologici  hanno lo  scopo di salvaguardare, conservare, gestire e difendere   il patrimonio archeologico, architettonico, ambientale e paesaggistico regionale ed hanno il compito di:

  1.  perseguire la conservazione e la salvaguardia degli interessi storico-archeologici e paesaggistico-ambientali;
  2. promuovere e realizzare iniziative volte ad accrescere la consapevolezza  dei  cittadini  riguardo ai problemi della tutela del patrimonio culturale;
  3. svolgere attività didattica e di  accompagnamento alla fruizione;
  4. promuovere progetti educativi relativi all’archeologia, alla storia, alla cultura locale, all’ambiente e al paesaggio, rivolti prioritariamente alle istituzioni scolastiche;
  5. provvedere alla catalogazione del patrimonio e alla predisposizione di documenti informativi da mettere a disposizione del pubblico in appositi luoghi di documentazione e di informazione;
  6. promuovere ogni iniziativa utile alla conoscenza del patrimonio culturale e allo sviluppo locale e turistico del territorio;
  7. cooperare con i musei del territorio;
  8. attivare rapporti con l’imprenditoria locale per creare un’offerta coordinata di servizi aggiuntivi e realizzare iniziative congiunte  di  valorizzazione e promozione, anche con i musei e le biblioteche locali;
  9.  favorire l’inserimento della propria offerta culturale nei programmi di marketing e di valorizzazione territoriale promossi dai sistemi turistici locali;
  10. coordinare la propria attività con i progetti integrati di sviluppo locale promossi nel territorio da soggetti pubblici e privati;
  11. I  parchi  archeologici  assolvono ai propri compiti mediante personale  professionalmente  qualificato,  si  dotano  di un proprio statuto  o regolamento approvato dagli organi competenti e provvedono alla rilevazione dei dati sui propri servizi, attività e utenti;
  12. I parchi archeologici sono istituiti dalla giunta regionale su proposta delle   amministrazioni  locali  interessate,  sentite  le soprintendenze  competenti, secondo i criteri definiti nel Piano regionale di cui all’Art. 7  il perimetro del parco può subire variazioni in aumento qualora lo  richiedano nuove scoperte archeologiche o ritrovamenti di reperti;

Il parco archeologico, in funzione della sua gestione, può essere suddiviso in zone assoggettate a prescrizioni differenziate, nel  rispetto  comunque delle previsioni del Piano paesaggistico regionale, e si articola in:

a) zona archeologica, ossia l’area su cui insistono i beni (monumenti, insiemi architettonici ed emergenze d’interesse archeologico);

b) zona ambientale e paesaggistica, comprendente  l’area di rispetto intorno alla zona archeologica e idonea a garantire l’inserimento e la conservazione dei valori paesaggistici del contesto in cui la zona archeologica è inserita;

c) zona naturale attrezzata, comprendente le aree residue del parco in cui possono essere attrezzati servizi ad uso esclusivamente scientifico,   culturale, ricreativo e turistico ai fini di valorizzazione e fruizione dell’area archeologica e di accoglienza dei visitatori.

L’istituzione dei parchi archeologici è condizionata al possesso preliminare dei seguenti requisiti:

  1. presenza nel territorio di risorse archeologiche, architettoniche, artistiche, storiche di rilevante interesse regionale;
  2. elaborazione di un piano di gestione e di un progetto pluriennale.

La Regione, inoltre, favorisce il coinvolgimento di più Comuni nei cui territori siano presenti beni di cui al comma 1,  al fine di realizzare modalità integrate di gestione e valorizzazione. I parchi archeologici sono funzionalmente integrati nell’organizzazione museale regionale.

Cosa possono fare, invece, i cittadini per valorizzare i beni culturali come i parchi archeologici? I beni culturali, per sopravvivere hanno bisogno di essere controllati e ricevere continua manutenzione. Le iniziative e gli interventi che si possono realizzare sono principalmente diretti alla tutela, alla conservazione ed alla valorizzazione dei beni.

Si possono suddividere due gruppi di interventi: interventi diretti ed interventi indiretti. Gli interventi diretti sono tutte quelle operazioni svolte direttamente sul bene culturale, agendo materialmente sul bene medesimo. Sono interventi di:

  • ispezione, per controllare e monitorare le condizioni del bene e le sue circostanti condizioni ambientali
  • manutenzione, ordinaria e straordinaria, per mantenere il bene nelle ottimali condizioni di conservazione
  • restauro, per rimediare a danni e deterioramenti che pregiudicano la corretta conservazione e/o fruizione del bene.

Gli interventi indiretti, invece, non agiscono direttamente sul bene, ma sono delle azioni che si rivolgono indirettamente al bene e che si configurano principalmente con questi obiettivi:

  • cambiare il contesto nel quale si trova il bene,
  • cambiare l’immagine che le persone hanno del bene,
  • rivalutare il valore, culturale, sociale, economico che si attribuisce al bene,
  • incrementare l’insieme delle informazioni e notizie storiche finora acquisite sul bene.

Gli interventi indiretti si attuano essenzialmente con azioni incentrate su:

  • Interventi di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo a tutto quello che è inerente al bene culturale: fornire prime nozioni e approfondimenti per conoscere il bene, controllare lo stato di conservazione, suggerire eventuali diverse opportunità di fruizione del bene.
  • Interventi di interpellanza per richiedere alle autorità competenti, pubbliche e private, che intervengano per assicurare una corretta conservazione del bene: restauri, messa in sicurezza, interventi urgenti di manutenzione.

Questi interventi indiretti, possono avere o non avere un onere economico e possono essere condotti in modi molto diversificati, più o meno approfonditi e con più o meno rigore scientifico. Inoltre gli interventi indiretti possono essere affrontati non solo da persone qualificate, ma anche da persone che non hanno una particolare conoscenza del settore beni culturali (in tal caso è opportuno che siano comunque coordinate da almeno una persona che abbia competenze nel settore).

Il silenzio e l’indifferenza verso i beni culturali, soprattutto verso i beni meno famosi e considerati – erroneamente – meno importanti, è il primo passo verso la loro definitiva distruzione. E una volta distrutto un bene culturale è perso per sempre. Ecco dunque l’importanza degli interventi indiretti, nei quali tutti possono dare il loro contributo.

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