La Sirenetta (The Little Mermaid) è un film di genere fantasy-drammatico-musical-sentimentale del 2023 diretto da Rob Marshall, prodotto dalla Walt Disney Pictures e costituisce la trasposizione in live-action dell’omonimo Classico d’animazione disneyano del 1989, a sua volta ispirato all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen del 1837.
Il cast è formato da Halle Bailey (Ariel), Jonah Hauer-King (Eric), Javier Bardem (Re Tritone), Melissa McCarthy (Ursula), Art Malik (Sir Grimsby), Christopher Fairbank (Hawkins), Noma Dumezweni (Regina Selina), John Dagleish (Mulligan), Jessica Alexander (Vanessa), Martina Laird (Lashana), Emily Coates (Rosa), John Dagleish (Mulligan) ai quali si aggiungono le voci di Daveed Diggs (Sebastian), Jacob Tremblay (Flouder) e Awkwafina (Scuttle).
Prodotto con un budget di circa 250 milioni di dollari il film ha ottenuto un incasso globale di circa 501 milioni di dollari risultando il settimo maggiore incasso del 2023. Fin dall’uscita del trailer la scelta di una protagonista di colore ha suscitato controversie e polemiche che hanno gridato al blackwashing: cast e produttori del film hanno respinto le accuse perché giudicate di matrice razzista. La critica risulta tutt’ora divisa: c’è chi loda le performances di Bailey, Hauer-King e McCarthy definendo nel complesso il prodotto come una ben fatta, frizzante e incantevole nuova versione che supera l’originale, e poi c’è chi critica gli effetti speciali e la durata eccessiva bollando il film come inquietante mix di copie conformi e materiale superfluo (il film è stato vietato in Cina). Il sito Rotten Tomatoes registra un indice di gradimento del 67% della critica collocando il film tra le migliori rivisitazioni; il sito Metacritic assegna un punto di 59/100 basato su 52 recensioni miste o medie; il pubblico di CinemaScore dà un voto “A” su una scala da A+ a F mentre su PostTrak il pubblico assegna un voto positivo generale di 91% di gradimento.
TRAMA In un immaginario e imprecisato passato Ariel è una giovane sirena che vive spensierata negli abissi del mare con le sue sorelle ed i suoi amici, il granchio Sebastian, il pesciolino Flounder e la sula bassana Scuttle. Nonostante il tassativo divieto di suo padre, Re Tritone, segnato dalla morte della moglie per mano di marinai, la giovane sirena è incuriosita dal mondo degli esseri umani che abitano la superficie e solcano i mari con le loro imbarcazioni. Un giorno, dopo una violenta tempesta, Ariel salva la vita ad Eric, giovane principe caduto vittima di un naufragio, e finisce per innamorarsi perdutamente di lui. Quando la curiosità cede il posto all’amore per il giovane umano, il desiderio della sirenetta di far parte del mondo terrestre la spinge a ribellarsi ai divieti del padre e a compiere un subdolo patto con Ursula, la perfida strega del mare e sorella di Re Tritone: bandita anni addietro da questi e bramosa di vendetta, la strega intende sfruttare l’ingenuità della nipote per colpire l’odiato fratello e usurpare il dominio sui mari. Riuscirà Ariel, resa umana e muta da Ursula, a conquistare il suo Eric a porre fine a paure e diffidenze che separano due mondi diversi ma da sempre conviventi?
ANALISI L’azione che scorre troppo veloce in un tempo relativamente lungo è il solo evidente punto debole di un omaggio che in due ore si sforza di mettere in equilibrio fedeltà al modello originale – fiaba e classico animato – e integrazione con elementi nuovi rischiando di lasciare buchi narrativi che, se approfonditi, potevano rendere il prodotto ancora più degno. I colori sgargianti e cupi del CGI risultano più suggestivi in unione alle emozioni di un’infanzia irripetibile che rivive nel punto di forza delle canzoni: il doppiaggio italiano conserva una fedeltà pressoché assoluta ai testi originali e aggiunge nuove emozioni nei nuovi brani introdotti. Le interpretazioni sono impeccabili (nota personale per la bravissima Melissa McCarthy, irresistibile, amorale e sarcastica villain) e l’aggiunta di momenti comici non guasta mai.
L’ex-bambino cresciuto con i Classici del Rinascimento Disney può versare qualche lacrima nel rivivere in parte l’infanzia perduta prima dei titoli di coda. I fan puristi del Classico animato possono storcere il naso di fronte a cambiamenti e ribaltamenti invero in linea con le intenzioni del prodotto e dare libero sfogo alle critiche (de gustibus). Chi conserva cuore aperto e mente acuta contro i pregiudizi in un presente in degrado totale incapace di andare oltre la superficie può dirsi soddisfatto nel ritrovare gli elementi di fiabe immortali che, edulcorati o trascurati dall’animazione disneyana, vengono recuperati nella loro cupa e macabra natura in perfetta combinazione con elementi nuovi a rendere sempre valida – adesso più che mai – la lezione offerta prima da Andersen e poi da Disney.
“Ma una sirena non ha lacrime e perciò soffre di più”.
(Hans Christian Andersen)
AMORE, SACRIFICIO E FEDE Lo scrittore e poeta danese Hans Christian Andersen (1805-1875) viene ricordato soprattutto per il suo corpus di fiabe, opera per la quale è considerato un innovatore del genere se non l’iniziatore della fiaba d’autore contemporanea. L’innovazione introdotta da Andersen consiste principalmente nel far convivere tradizione e sperimentazione rielaborando la materia pre-esistente (come ad esempio I Fratelli Grimm) riducendola a semplice spunto per le trame oppure integrandola con invenzioni personali: le fiabe spesso traggono ispirazione da storie ascoltate nell’infanzia, nella libera traduzione della memoria e fondendo fantasia e vita vissuta. L’autore racconta in modo disincantato ma allo stesso tempo si mostra fiducioso, pervaso da un candore infantile che si abbandona alle proprie sensazioni ed emozioni. Andersen dona al suo pubblico storie utili alla formazione della mente, una mente aperta in tutte le direzioni che affronta la realtà con occhio spregiudicato capace di vedere anche l’invisibile.
Edvard Eriksen, statua della Sirenetta nel porto di Copenaghen (1913)
La Sirenetta (Den lille Havfrue), pubblicata a Copenaghen nel 1837 è, se non la più celebre, sicuramente fra le fiabe più rappresentative del genio letterario di Andersen: una giovane sirena compie un sacrificio estremo per amore di un umano ma alla fine ottiene un premio ancora più alto per il suo buon cuore dopo aver patito la sofferenza e la disperazione di un amore impossibile. Senza risparmio di elementi macabri e con un finale a metà fra struggente e commovente la fiaba offre un’importante lezione sui sacrifici che comporta l’amore, sulla miopia dell’umanità che non riesce a vedere oltre ‘il diverso’ e sulla vera ricompensa agli sforzi di un cuore che mantiene pura la sua fede di fronte alla spietata realtà del genere umano. Un occhio critico attento ha individuato elementi biografici nella trama: la Sirenetta resa muta che ama il principe ed il principe che si affeziona senza amarla rifletterebbe la frustrazione e l’isolamento sentimentale a cui Andersen si sentiva relegato non potendosi esprimere liberamente a causa della sua omosessualità.
La fiaba è fra le più note ed amate, in Danimarca e nel mondo, ed ha avuto innumerevoli omaggi e adattamenti fra teatro, cinema, balletto e tutte le arti in genere. L’edizione italiana più recente, traduzione di Kirsten Bech con illustrazioni di Maria Pezzè Pascolato e Giuliana Pozzo, è stata pubblicata nel 2018 da Newton Compton in un volume integrale che raccoglie tutte le 156 fiabe di Andersen.
Alan Menken
FIABE E MUSICAL Negli anni ’80 dell’ormai passato XX secolo la Walt Disney Productions stava affrontando un periodo difficile rispetto al successo consacrato nel ventennio precedente. La scomparsa del fondatore e anima dell’azienda Walter Elias Disney, deceduto il 15 dicembre 1966, aveva dato inizio ad un periodo di forte crisi creativa e direttiva che ebbe come conseguenza, nonostante nuovi successi commerciali (Gli aristogatti, Robin Hood, Le avventure di Winnie The Pooh, Le avventure di Bianca e Bernie, Red e Toby – Nemiciamici), un declino generato da un forte calo di plauso da parte della critica. Un tentativo di acquisto degli studios da parte del miliardario Saul Steinberg fu sventato dalla determinazione di Michael Eisner, neo-eletto amministratore delegato, col sostegno di Jeffrey Katzenberg, neo direttore di produzione dei film, e Frank Wells, nuovo presidente dell’azienda.
Un nuovo esperimento di fiaba gotica si rivelò un flop al botteghino (Taron e la pentola magica) e spinse a tentare la via dei film per la televisione, economicamente remunerativi ma artisticamente indeboliti dalla perdita di validi collaboratori passati alla concorrenza (come Don Bluth). Il risultato furono prodotti di modesto guadagno (Basil l’investigatopo, Oliver & Company) e incapaci di concorrere con i rivali del tempo (Fievel sbarca in America, Alla ricerca della Valle Incantata). Un passo in avanti si intravede nel 1988 nella collaborazione con Steven Spielberg e Robert Zemeckis alla produzione di un film a tecnica mista (Chi ha incastrato Roger Rabbit?): un autentico gioiellino campione al botteghino e applaudito dalla critica che sembra ritrovare un lieve interesse per i cartoni animati sul grande schermo
La svolta avviene l’anno successivo. Gli studios decidono di riadattare una fiaba in un lungometraggio animato: La Sirenetta di Andersen. L’idea è quella di combinare lo stile narrativo al musical di Broadway: al compositore Alan Menken e al commediografo Howard Ashman, già noti a Broadway, viene dato l’incarico di comporre le musiche e le atmosfere sonore del film. Il 17 novembre 1989 debutta nelle sale, per la regia di Ron Clements e John Musker, La Sirenetta (The Little Mermaid): il film è un successo al botteghino e diventa il più alto incasso cinematografico per un film d’animazione dell’epoca. La perfetta combinazione di trama e canzoni offre un prodotto suggestivo ed emozionante che, se edulcora parte della fiaba originale, tuttavia conserva l’attenzione su tematiche affrontate dallo stesso Andersen (il “diverso” nella disperazione per un amore che appare impossibile, il sacrificio e l’ingenuità per ottenerlo) integrandole con altre tutt’ora tristemente attuali: il difficile rapporto genitori e figli quando questi raggiungono l’adolescenza riflesso nell’incontro/scontro fra due mondi visti attraverso la curiosità che vuole conoscere e apprendere (Ariel) e la paura segnata da traumi che non riesce ad andare oltre i difetti (Re Tritone).
Una trama convenzionale in cui convivono in perfetto equilibrio scene di canto o numeri di danza, un protagonista giovane solitamente orfano di uno o entrambi i genitori, una storia sentimentale con al centro un amore all’apparenza impossibile, l’inserimento di animali interagenti con il protagonista in funzione di personaggi secondari: è questo l’inizio di quello che comunemente è stato definito – parole di Jeffrey Katzenberg – Rinascimento Disney (1989-1999).
Sotto questa etichetta si definisce quel particolare contesto storico in cui i Walt Disney Animation Studios, sfruttando l’abilità di nuovi animatori, nuove tecniche di narrazione e la scoperta del musical come forma di intrattenimento nella trama, tornarono alla ribalta nell’industria cinematografica producendo pellicole inserite nella storia della celluloide fra i più grandi successi di pubblico e critica consacrate con la nomination (miglior film prima volta per un film d’animazione) e la vittoria agli Oscar (5 miglior colonna sonora e 5 miglior canzone): La bella e la Bestia (1991), Aladdin (1992) e Il Re Leone (1994) probabilmente sono i tre massimi esponenti di questo indimenticabile periodo cinematografico (le recensioni dei rispettivi live-action qui).
MUSICAL STELLARI Il regista e coreografo statunitense Rob Marshall (17 ottobre 1960) vanta una carriera riconosciuta a livello internazionale dal Premio Oscar “miglior regia” per il musical Chicago (2002) cui si aggiungono 5 nomination ai Tony Award (4 per coreografia, 1 per regia) e con la Disney ha già dato prova di talento nel 2011 con la saga Pirati dei Caraibi e nel 2018 con Il Ritorno di Mary Poppins (recensione qui)
Dopo una gavetta da coreografo a Broadway (Victor / Victoria) ed i primi lavori dietro la cinepresa per il piccolo schermo (Annie – Cercasi genitori 1999, The Kennedy Center Honors: A celebration of the Performing Arts 2001), Marshall si fa notare nel 2002 a livello internazionale dirigendo un cast di stelle del calibro di Reneé Zellweger, Catherine Zeta-Jones, Richard Gere, John C. Reilly e Queen Latifah con quello che tutt’ora è considerato, successo di pubblico e critica, il suo miglior prodotto: Chicago. Con Memorie di una geisha (2005) prosegue il successo al botteghino mentre con Nine (2009) il tentativo di omaggiare il Fellini di 81/2 si rivela uno dei più grossi flop degli ultimi anni.
Il successo torna con la Disney nel 2011: il quarto capitolo della saga Pirati dei Caraibi (Oltre i confini del mare) vede ancora riunito un cast stellare e con circa 1.046 miliardi di dollari si rivela il secondo film più proficuo del franchise. Nel 2014 il regista torna al suo genere preferito, il musical: le stelle Johnny Depp, Meryl Streep ed Emily Blunt sono nel cast del disneyano In to the Woods, un successo di critica e di pubblico. Con il sequel dell’immortale Classico del 1964 ispirato ai libri di Pamela L. Travers Il ritorno di Mary Poppins (2015) Marshall dirige una bravissima Emily Blunt in un divertente, emozionante e degno omaggio ad un’infanzia irripetibile.
CONTRO I PREGIUDIZI Il remake di Rob Marshall del Classico animato che ha inaugurato il Rinascimento Disney, se da un lato rispetta la ricetta dei live-action Disney, ovvero ripresa di elementi essenziali dal Classico di riferimento e integrazione con elementi nuovi per ravvivare e contestualizzare il prodotto evitando la mera imitazione, allo stesso tempo ha intenzione di voler andare oltre. Ad un occhio attento che non scorda fiaba e cartone non può sfuggire la ripresa di elementi fra il macabro e il commovente (il patto “di sangue” con la strega del mare, la tragica fine di chi non ha rispettato il patto, le lacrime mancanti alla sirena versate solo da umana) edulcorati o nettamente scartati nel Classico animato che avvicina ancora di più la versione live-action alla fiaba originale. Questo è sicuramente un punto a favore per affrontare tematiche dai toni più adulti: il sacrificio estremo per ottenere ciò che si vuole e riaprire occhi e cuore a chi è segnato dal trauma che porta al pregiudizio.
Una scenografia variopinta e suggestiva (CGI per i fondali marini e la costa settentrionale della nostra Sardegna per la terraferma), un cast che si mostra assolutamente impeccabile e le note ineguagliabili di Alan Menken sono validi strumenti per accordare e dirigere una fiaba musicale che insiste sul parallelismo tematico mediante il contrasto/confronto di contesti fra loro speculari: il rapporto genitori e figli (di sangue e di adozione) e umani e natura (paura e diffidenza contro curiosità e convivenza) risulta perfettamente riflesso nei caratteri dei personaggi principali (curiosità, desiderio di conoscenza e amore nell’entusiasmo della gioventù contro l’ansia e la paura di una maturità segnata da traumi e frenata dal pregiudizio).
La contestata scelta di un cast plurietnico si rivela efficace nel ricordare che il mondo, marino e terrestre così come la realtà umana, non ha un solo colore, un solo punto di vista, un solo modo di vivere. Chiaro fin da subito appare l’intento di denunciare, affrontare e superare il pregiudizio scaturito da traumi mai superati che impediscono di capire mondi da sempre conviventi ma separati principalmente nella deviata concezione di chi non vuole superare la sua piccolezza e preferisce la facilità del chiudersi in sé stessi e condannare il tutto per le colpe di una sola parte.
Nell’edizione italiana è da rilevare come l’elemento nostalgico sia sfruttato al massimo: una fedeltà pressoché assoluta alle canzoni e a gran parte delle battute originali del Classico animato integrate con la suggestione non meno rilevante di nuovi brani a delineare i tormenti interiori dei due giovani innamorati incompresi. Mahmood è un Sebastian petulante e spassoso; Sara Labidi e Yana C rendono emozionanti e convincenti rispettivamente la recitazione e le doti canore della meravigliosa e bravissima Halle Bailey (da ascoltare anche in lingua originale!); Simona Patitucci, voce indimenticabile della Ariel animata (cameo anche della voce originale Jodi Benson in veste di venditrice al mercato), nelle vesti di villain rende ancora più irresistibile la già bravissima Melissa McCarthy.
Le opinioni di tutti vanno rispettate e considerando con un’amarezza senza fine il presente in degrado totale – avvelenato dal demone-danaro e schiavo di un’ignoranza sempre più in crescita – non meraviglia che fin dal preview il nuovo live-action Disney abbia sollevato un vespaio di polemiche col solo effetto di mostrare principalmente la piccolezza di circa il 90% di chi le ha mosse.
Un confronto fra animazione e live-action è naturale quanto fuorviante per la natura stessa dei contesti: un capolavoro di animazione di un periodo irripetibile per la celluloide difficilmente può essere eguagliato, si può solo cercare di essere degni senza imitare per offrire qualcosa di nuovo.
I trenta-quarantenni che ricordano con orgoglio l’infanzia perduta del Rinascimento Disney, che non smettono mai di sfogliare pagine cartacee dei Classici immortali, che guardano oltre la patina (pseudo-)politica, (pseudo-)sociale, (pseudo-)economica di un presente in degrado totale, e che vogliono rivivere sempre la magia del maxischermo in sala buia prima dell’estinzione in streaming, nutrono la piccola grande speranza che il prodotto offerto da Marshall spiani la strada oltre la superficie per vedere ancora la bellezza immortalata prima dei titoli di coda nelle lacrime di commozione dei bambini – cresciuti o ancora in erba – riflesse in quelle della meravigliosa protagonista nel finale più che degno dell’originale animato.
EMOZIONANTE, DIVERTENTE E COMMOVENTE.
PER CHI NON SI FERMA ALLA SUPERICIE.
PIÙ CHE SODDISFACENTE.