La miniserie televisiva La regina degli scacchi, disponibile su Netflix dal 23 ottobre 2020, è una delle opere migliori di questo anno travagliato. A causa del Covid-19 la produzione/distribuzione di film e serie Tv ha subito e sta continuando a subire notevoli problematiche. Ma in mezzo a tanta incertezza ecco ergersi una delle migliori miniserie degli ultimi anni.
Se solo un anno e mezzo fa la serie Chernobyl, targata HBO, ci aveva stupito ed entusiasmato, ecco che sul tramontare del 2020 ci troviamo dinanzi a un’altra grande piccola serie televisiva. La regina degli scacchi è ispirata dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1983 e scritto da Walter Tevis, ideata e diretta per il piccolo schermo invece da Scott Frank. Nome che ci abitueremo a sentire più volte in quello che speriamo sia un futuro farcito di tante altre produzioni televisive e cinematografiche, dove lo sceneggiatore di Logan meriterebbe di tornare, in quanto la sua regia è uno dei punti forti del film.
Diluito in “soli” 7 episodi ma dalla durata di circa un’ora ciascuno, La regina degli scacchi parla della vita di una bambina rimasta orfana, Beth Harmon, e della sua ascesa come campionessa degli scacchi fin dalla tenera età. Diffidate, voi che magari non conoscete l’arte del gioco degli scacchi, nonostante il prodotto giri intorno a un gioco tanto affascinante quanto ignoto per molti, non serve essere Gran Maestri per poter godere appieno della miniserie Netflix.
Anzi, La regina degli scacchi non fa altro che metaforizzare la vita reale con una partita a scacchi: lo fa innanzitutto nella narrazione, dove il titolo di ogni episodio è un riferimento a una fase del gioco di una partita di scacchi. Aperture, Scambi, Pedoni doppiati, Mediogioco, Forchetta, Sospensione e Finale sono termini tecnici negli scacchi ma presentano un contesto specifico anche nella storia di Beth Harmon. Quest’ultima è interpretata da Anya Taylor-Joy, attrice dallo sguardo suggestivo e dotata di grandissimo talento (proprio come il personaggio che interpreta) che probabilmente avrete visto in Emma (film di quest’anno), in Glass e Split (di Shyamalan) e nel 2015 nel film di Robert Eggers, The Witch.
L’ascesa a campionessa di Beth viene rappresentata non solo dalle partite e dai tornei competitivi, ma anche dalla sua evoluzione del personaggio: sia fisicamente che caratterialmente. Beth è una ragazza e come ogni ragazza ha i suoi bisogni, le sue paure, le sue tentazioni e le sue debolezze. Proprio queste rappresentano un punto focale della narrazione dell’intera miniserie, il personaggio e la trama si sviluppano con marcata lentezza – salvo poi accelerare insieme al pathos narrativo negli ultimi due episodi – ma allo spettatore è ben chiaro fin da subito cos’ha di fronte. Non parliamo neppure di un prodotto farcito da chissà quanti colpi di scena, anzi, piuttosto prevedibile nel suo evolversi; ma è il come, ancora una volta, a fare la differenza, non il cosa.
La regina degli scacchi è raccontata con assoluta devozione da un punto di vista tecnico e interpretativo: se da un Anya Taylor-Joy magnetizza a sé tutto ciò che la circonda, regia, scenografia e fotografia non sono da meno. Simmetrie, gioco degli opposti, riflessi, questi e tanti altri aspetti tecnici che rendono la visione del prodotto appagante e stimolante.
Per coloro che conoscono il celebre e immortale gioco degli scacchi, il titolo originale (The Queen’s Gambit) avrà tutt’altro sapore: tradotto letteralmente il titolo sarebbe stato “Il gambetto di donna”, altresì una strategia d’apertura negli scacchi che consiste in un apparente sacrificio a discapito di un piazzamento che potrebbe rappresentare un vantaggio. Tale gambetto di donna sarà anche presente in tutto e per tutto nelle partite giocate da Beth, così come altri tecnicismi del gioco.
La regina degli scacchi, se da un lato presenta una storia prevedibile – senza però smorzare l’interesse dello spettatore – dall’altro lato è ricca di un sottotesto forte e profondo. Si parla di sport, della tenacia della competizione e della concentrazione necessaria per rendere al meglio sul campo di gioco (o in questo caso su una scacchiera!), il personaggio di Beth infatti sarà etichettato come un giocatore istintivo in quanto sorprende l’avversario grazie a mosse imprevedibili dettate dal proprio istinto, mettendola in contrasto con altri personaggi più dediti allo studio e alla memoria.
D’altro canto, si parla anche di solidarietà e di gioco di squadra. Nonostante gli scacchi – come il tennis – siano un gioco individuale, ricevere un aiuto e ottenere un confronto non sono aspetti da sottovalutare, lezione che la giovane Beth subirà sulla propria pelle.
Senza poi dimenticare il lato oscuro della protagonista: le sue debolezze, le sue dipendenze, la propria solitudine. Aspetti che la porteranno a vivere una vita vuota a parte il successo negli scacchi, un successo che a un certo punto sembrerà non poter condividere con nessuno, eccetto che con una bottiglia di vino. La regina degli scacchi affronta anche questi temi, senza pesantezza e senza eccessive angosce, ma con minuziosità e buon ritmo.
Per concludere, oltre che vivamente consigliare la visione di questo prodotto Netflix, è bene dare una chicca: tale racconto, frutto della fantasia, che vede una donna imporsi in un gioco storicamente dominato dal sesso maschile, rappresenta notevoli analogie con la vita di un altro scacchista prodigio (soprattutto nella rivalità con i russi), nonché messer Bobby Fischer, considerato uno dei migliori giocatori della storia.