I nuovi poveri

di Nello Cassese

La crisi sanitaria provocata dal diffondersi del nuovo coronavirus ha avuto strascichi ancor più ad ampio raggio. Le chiusure hanno provocato un vero e proprio terremoto nel sistemo economico italiano retto in gran parte dalla piccola-medio impresa. Le famiglie italiane, per la maggior parte rappresentate dalla fascia media, si sono ritrovate perlopiù nelle stesse condizioni di disagio. Le paure e le ansie hanno portato negli animi dei cittadini di ogni età vuoti e confusioni mai provati prima. Le storture del fragile sistema socio-economico italiano sono riaffiorante in tutta la loro fragorosa forza.

Il Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas del 2020 (aggiornato ad ottobre), denominato non a caso Gli anticorpi della solidarietà, restituisce una lettura della realtà a dir poco preoccupante. Una situazione grave sia dal punto di vista nazionale e comunitario che mondiale: in Europa e in Italia si registra il calo del PIL più marcato dal 1995 con l’Italia che è dietro solo a Spagna e Francia per calo rispetto al 2019; le persone nel mondo costrette a vivere con meno di 2 dollari al giorno salgono da 60 milioni a una quota che oscilla tra gli 88 e 114 milioni. Il tasso di disoccupazione nel secondo trimestre si attesta al 7,7%. Il calo risulta più accentuato tra i giovani (15-34 anni), gli stranieri, nelle regioni del Mezzogiorno e del Centro. Tornano ad aumentare le differenze di genere: tra le donne è maggiore il calo del tasso di occupazione. Il calo occupazionale interessa sia gli occupati a tempo pieno sia quelli a tempo parziale, per i quali, nel 63.9% dei casi il part time è involontario. La considerazione generale è che la situazione sia simile a quella della grave crisi del 2008 se non più grave, visto che rispetto a quegli anni gli effetti di questa crisi si stanno vedendo con velocità e tempestività aumentate.

fila chilometrica per un pasto caldo offerto da Pane Quotidiano Onlus a Milano – pubblicata sui social dal Corriere della Sera

Ma i dati più preoccupanti raccolti dalla Caritas italiana sono quelli riguardo i poveri, in un Paese in cui già se ne contano oltre 4,5 milioni: da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45% e quasi la metà di chi si rivolge alla rete Caritas non lo aveva mai fatto in passato (circa 450mila persone, ma il numero è sottostimato per via della mancanza di altri report parrocchiali). Chi sono quindi i nuovi poveri? Sono le famiglie con minori, le donne, i giovani, i nuclei di italiani e le persone in età lavorativa, ma anche e soprattutto i lavoratori in nero e quelli in cassa integrazione o che hanno perso il lavoro. Tutte persone che mai avevano fatto richieste alla Caritas e che ora devono necessariamente farlo. Improvvisamente sono apparse fasce sociali di povertà mai conosciute, categorie lavorative salde fino a pochi mesi fa e che oggi si ritrovano a far parte del grande numero dei disoccupati, di coloro ai quali non sono stati rinnovati i contratti di lavoro, di coloro che con l’avvio della stagione estiva attendevano un impiego temporaneo.

La povertà è ancora maggiore nel Mezzogiorno, con una percentuale di oltre l’8% contro una di circa il 6% al Nord, nelle persone meno istruite, nelle famiglie numerose, in quelle con minori a carico (si stima ci siano più di 1 milione di bambini e ragazzi in stato di povertà) e soprattutto nei giovani under 34. La metà delle famiglie italiane ha subito una riduzione del reddito, addirittura per il 15% del campione analizzato il calo è di oltre la metà del reddito complessivo. Più di un terzo degli individui ha inoltre dichiarato di disporre di risorse finanziarie liquide sufficienti per meno di 3 mesi a coprire le spese per consumi essenziali della famiglia in assenza di altre entrate (il report è riferito alla “prima ondata”, ndr). Le indagini della Caritas hanno poi fatto emergere “la presenza di un’Italia dell’economia nera e grigia” e, al Sud, il rischio di un’esplosione del cosiddetto “welfare mafioso di prossimità”, con le organizzazioni criminali che hanno provveduto con lo strozzinaggio a fornire alle famiglie in difficoltà quella liquidità che spesso mancava alle famiglie.

la fila ad una mensa dei poveri – sito L’Espresso

Accanto alla recrudescenza dei fenomeni di povertà già noti, ci sono poi i problemi riferiti alle violenze domestiche ed all’assistenza delle persone con disabilità. “Restare a casa” è stato drammatico per chi quella casa la doveva convivere con il proprio aguzzino: nel periodo 1 marzo -16 aprile 2020 le chiamate ai centri antiviolenza sono aumentate del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019. Aumentano anche i disagi riguardanti le assistenze alle persone con disabilità ed alla didattica a distanza per quei bambini che non avevano connessione o attrezzature ad hoc. Il blocco dell’assistenza specialistica ordinaria e di prevenzione è segnalato in aumento del 74,6%. Quasi un sesto dei nuclei con minori under 13 anni, inoltre, non ha potuto far seguire ai figli le lezioni di didattica a distanza per via dell’assenza o non sufficienza di dispositivi digitali per tale attività.

Aumentano poi anche i disagi psicologici con un evidente incremento durante il lockdown del disagio psicologico-relazionale, di problemi connessi alla solitudine e di forme depressive. In seguito al periodo di isolamento, di contraltare agli eccessi della movida, si è registrata la paura di molti adolescenti che si sono chiusi in casa, isolandosi nelle loro camere, rifiutandosi di uscire anche dopo l’apertura, sopraffatti dalla paura, destabilizzati dalla sospensione dei rapporti in presenza con i coetanei. E’ vero che sono state riscoperte le relazioni ed è pesato non riuscire ad incontrare gli amici, ad abbracciare le persone a trascorrere un po’ di tempo insieme, ma è anche vero che sono scoppiate la paura dell’altro e la diffidenza verso chi ci è di fronte.

un senzatetto o “clochard” – sito Caritas Napoli

C’è poi l’atavica problematica della questione abitativa, in un Paese che conta almeno 50mila senzatetto. I dati Istat confermano infatti la criticità delle persone che non possono permettersi una casa di proprietà: le oltre 726mila famiglie povere in affitto rappresentano il 43.4% di tutte le famiglie povere. A dire il vero, sottolinea la Caritas, già prima dell’attuale emergenza le spese abitative rappresentavano un peso elevato sui redditi delle famiglie in affitto, anche se la situazione negli ultimi anni sembrava essere in miglioramento: nel 2014 c’erano stati 77.278 provvedimenti emessi e circa 36.000 sfratti eseguiti, nel 2016 invece 158.720 richieste di esecuzione. Quella che la Caritas chiama “la romanticizzazione della quarantena” resta “un privilegio di classe”.

Che ruolo ha svolto quindi la Caritas nella prima fase dell’emergenza? In una fase del tutto nuova come quella vissuta nei primi mesi della pandemia, gli stessi volontari della Caritas hanno dovuto far fronte a richieste diverse e spesso nuove. Per i gruppi di volontari le parole chiave sono state “solidarietà” e “creatività”, attraverso cui sono stati favoriti il rafforzamento dei legami di comunità e la solidarietà di prossimità, incrementando la costituzione di reti informali e spontanee, con all’interno soggetti nuovi come volontari, parrocchie, enti del terzo settore, istituzioni, aziende, che spesso si sono avvicinati al contesto Caritas per la prima volta.

un volontario che porta derrate alimentari a domicilio – sito Caritas nazionale

I volontari hanno poi avuto un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda il lato burocratico delle richieste di aiuto. I cittadini sono stati infatti rimasti prigionieri di un sistema burocratico che in Italia è ancora lento, inefficace e poco chiaro, facendo sì che chi avesse bisogno di sussidi non sapesse spesso neanche come fare per richiederli. Sotto questo punto di vista – sottolinea il report – la Caritas si è trovata a riempire questo vuoto sostituendo spesso gli enti territoriali. Molti, inoltre, senza il Reddito di Cittadinanza avrebbero visto venir meno anche l’unica forma di sostegno. Per la Caritas il RdC è una buona manovra ma non funziona per quello che i politici avrebbero voluto funzionasse, ovvero creare forza lavoro. La Caritas, infatti, da una parte sostiene la stortura del Reddito (dei 3 milioni di percettori, meno della metà sono tenuti alla sottoscrizione dei patti di servizio), dall’altra invece ne sottolinea la necessità (“non è da questo che si verifica l’efficacia di una misura di contrasto alla povertà”).

Quale quindi la sfida del futuro? Per la Caritas, “sarà fondamentale fare rete, coinvolgere tutti, in una logica di scambio e di corresponsabilità, ovvero di patto locale“. Con l’emergenza Covid la composizione della platea di beneficiari dei servizi Caritas si è spostata verso redditi mediamente più alti, mettendo in risalto il carattere mutevole della povertà che ha portato centinaia di migliaia di persone in Italia ad entrare nel raggio della povertà attraverso un processo repentino e incontrollabile. La Caritas, quindi, “si è trovata a vedere interrotto un processo generativo di tipo pastorale e sociale volto ad una nuova visione del povero e della comunità per sostenere, chiarire, facilitare l’accesso ai diritti di emergenza“.

volontari Caritas in una mensa – sito Caritas nazionale

Per riuscire a sostenere i nuovi drammatici cambiamenti sociali non servirà quindi solo un approccio di tipo assistenziale-emergenziale ma anche un supporto di tipo propedeutico per far sì che il “bisognoso” si possa riappropriare del senso della vita, riconsiderarsi un soggetto parte attiva della società con competenze specifiche e in grado di poter dare il suo apporto allo sviluppo del territorio. Si dovrà andare oltre la concezione del “semplice clochard” e pensare ad un processo di valorizzazione umana e professionale che trovi la collaborazione nei soggetti economici, sociali e politici del territorio. Un progetto al quale già da diverso tempo, ben prima della pandemia, sta lavorando la Caritas della Diocesi di Nola con l’istituzione del cosiddetto Mondominio” nel dormitorio per senzatetto a San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli. Una struttura in cui operatori sociali, professionisti sanitari e “ospiti” collaborano in una logica cooperativa per il superamento del disagio e la creazione di valore.

Anche dal fango possono nascere i fiori. La sfida posta dalla pandemia è proprio questa: rinascere e sfruttare al massimo ogni energia disponibile. Per uscire dal tunnel non si potrà più viaggiare da soli. Ora più che mai, nessuno si salva da solo. Non più.

 

[foto copertina – Corriere della Sera]

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