“Inshallah a Boy”: storia di una ribellione femminile

di Milena Liberti

In “Inshallah a Boy!” Nawal, interpretata dalla straordinaria attrice palestinese Mouna Hawa, sta tentando di avere un secondo figlio, ma il marito muore all’improvviso e lei resta in una situazione complessa, con una serie di problemi da affrontare, madre di una bambina molto sveglia (Seleena Rababah, bambina attrice, che ha dato prova di grande professionalità). Il fratello del marito rivendica parte dell’eredità, compresa la casa in cui la donna e la figlia vivono, al cui acquisto Nawal stessa ha contribuito senza tuttavia poterlo dimostrare. Il fratello di Nawal dovrebbe sostenerla, ma è vincolato dal rispetto delle tradizioni.

Il film, dal ritmo serrato, particolarmente interessante, racconta una storia vera, che il regista Amyad Al Rasheed, alla sua opera prima, ha tratto da fatti veramente accaduti ad una sua parente, per mostrare al mondo i codici di comportamento cui le donne devono sottostare senza alcuna possibilità di ribellione. Non a caso il film è ambientato ad Amman in Giordania dove vige la legge della Sharia. La protagonista potrebbe avere diritto all’eredità solo se avesse avuto un figlio maschio o dimostrasse di essere incinta.

Nawal, tuttavia, è determinata a non soccombere ad una legge che non considera i diritti delle donne. Il cognato, personaggio tipico maschile, con l’arroganza che è concessa ai maschi nei paesi arabi, la perseguita e le sottrae la figlia senza neanche avvisarla. Il fratello di Nawal, sempre presente quando ella riceve il cognato, rimane inerme ed incapace di prendere posizioni perché deve rispettare le tradizioni. La donna ha un lavoro come badante presso un’anziana signora, immobilizzata su una sedia a rotelle, e tutti i giorni si reca presso questa famiglia benestante dove si apre un altro microcosmo. Anche in questa famiglia, di religione cristiana maronita, la sottomissione al maschio è totale ed impera violenta, nonostante   il maschio sia privo di ogni scrupolo ed ogni moralità.

Il regista ci vuole dimostrare che la prevaricazione del maschio  non è solo una questione di religione, ma è proprio una tradizione culturale, un humus difficile da trasformare o addirittura debellare. Film splendido, carico di suspense. Primo film giordano presente a Cannes e premiato, di grande insegnamento soprattutto per i giovani. Il film dovrebbe far riflettere sulla volontà delle donne sottoposte alla legge della Sharia di volersi emancipare e liberarsi da un’eredità religiosa e legale che le perseguita da sempre, a cui devono sottostare non avendo alternative.

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