La Corte di Giustizia Europea ha emanato una sentenza di condanna nel corso della passata prima metà di Novembre contro l’Italia perché negli anni dal 2009 al 2018 avrebbe violato il diritto UE sulla qualità dell’aria. Il nostro Paese non si sarebbe impegnato a sufficienza nel decennio appena trascorso per proteggere la salute umana, l’ambiente e l’economia dall’inquinamento atmosferico. I valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle di Pm10 sono stati superati in maniera “sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017”, viene riferito nel testo nella sentenza della Corte di giustizia europea. Secondo il rapporto 2019 dell’Agenzia Europea per l’ambiente, si stimano solo in Italia dalle 60.000 alle 80.000 vittime all’anno per il fenomeno polveri sottili.
Il procedimento è iniziato in realtà diversi anni fa, ovvero nel 2014, quando la Commissione Europea aveva dato inizio al processo per inadempimento verso l’Italia e nel 2018 aveva chiesto l`intervento della Corte di Giustizia perchè il nostro Paese non ha fornito chiarimenti sufficienti nel corso della fase di precontenzioso del procedimento. In virtù del testo della sentenza depositata a Lussemburgo il 10 novembre scorso, l’Italia, pena pesanti sanzioni pecuniarie, aveva l’obbligo di comunicare alla Commissione Europea le misure di attuazione della direttiva sulla qualità dell’aria. Secondo le nuove linee guida europee infatti il superamento dei valori limite delle Pm10 anche nell’ambito di una sola zona è sufficiente perché si possa dichiarare un inadempimento alle disposizioni della direttiva comunitaria. L’Italia aveva provato a comunicare le difficoltà di gestire il problema, facendo riferimento alle caratteristiche del territorio e alla sua estensione. Tutte motivazioni ritenute però insufficienti dalla Corte Europea. Le regioni coinvolte nel procedimento sono dieci, per un totale di 27 territori/zone coinvolte: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia.
Mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte Europea osservava, al contrario, che un siffatto approccio si ponesse in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva “qualità dell’aria” per adempiere gli obblighi che essa prevede, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva medesima. Secondo la Corte, dunque, l’Italia non avrebbe manifestamente adottato, in tempo utile, le misure necessarie per ridurre l’inquinamento dell’aria nelle zone fuori limite né «dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile».
Da ricordare infine che non è l’unica procedura d’infrazione continentale aperta contro l’Italia: oltre a quest’ultima relativa al Pm10, vi sono altre due relative rispettivamente all’ossido di azoto e al Pm 2,5.