“Il tempo che ci vuole”: l’omaggio di Francesca Comencini al padre Luigi emoziona e commuove

Con questa bellissima pellicola Francesca Comencini omaggia il papà regista Luigi

di Vittorio Paolino Pasciari

Il tempo che ci vuole è un film di genere biopic-drammatico del 2024 diretto da Francesca Comencini. La pellicola racconta in forma romanzata il tormentato ma profondo rapporto fra la regista ed il padre Luigi Comencini attraverso la comune passione per la cinematografia.

Il CAST è formato da Fabrizio Gifuni (Luigi), Romana Maggiora Vergano (Francesca), Anna Mangiocavallo (Francesca da bambina), Luca Donini (Clemente), Daniele Monterosi (regista), Lallo Circosta (operatore), Luca Massaro (Gatto) e Giuseppe Lo Piccolo (Volpe). Accolto dalla critica con un punteggio di 4.5 su 5 stelle sul sito Sentieri Selvaggi il film è stato definito “un film sincero e bellissimo che ci consegna una cineasta in stato di grazia, capace di plasmare la creazione artistica con il vissuto”.

TRAMA

Roma, Anni di piombo. In un periodo storico caratterizzato da lotte politiche e sociali Luigi e sua figlia Francesca condividono da sempre la passione per il cinema. Luigi è un affermato regista, Francesca invece una studentessa che vive un’esistenza insoddisfatta all’ombra del genitore che culmina nella tossicodipendenza. Deciso ad aiutare la tormentata figlia ad uscire dal baratro, Luigi la porta con sé a Parigi e la inizia alla settima arte. Dopo un’infanzia spensierata ed una giovinezza tormentata, Francesca ritroverà sé stessa seguendo le orme paterne dietro la macchina da presa e ottenendo un riscatto che sembrava insperato.

 

ANALISI

Il contesto storico fa da sfondo ad un’azione che scorre veloce scandita attraverso salti temporali in flashback che dividono nettamente la trama in due momenti. La regista si concentra sulle emozioni che caratterizzano il rapporto-confronto fra padre e figlia riflesso in quello fra generazioni diverse. Per emozionare e commuovere lo spettatore la Comencini si avvale di un sapiente uso di primi piani e riprese fra luci e ombre che si concentrano sui due protagonisti, due interpreti impeccabili, ed un abile uso di elementi nostalgici che colpiscono il cuore dei cinefili appassionati. Chi si aspetta un film con una trama ben definita e scorrevole può storcere il naso ma un vero appassionato della settima arte dovrà solo lasciarsi trasportare dalle emozioni che nel commovente finale stuzzicano l’interesse a riscoprire un maestro del cinema nostrano, la sua più che degna erede e quanti altri hanno dato un valido e appassionato contributo a donarci la magia del maxischermo in sala buia.

 

“Il cinema ti mostra quello che trova”. (Luigi Comencini)

IL PADRE DELLA “COMMEDIA ALL’ITALIANA”   

Il regista e sceneggiatore italiano originario di Salò Luigi Comencini (1916-2007) è riconosciuto, assieme a Mario Monicelli e Dino Risi, come iniziatore e uno dei massimi esponenti della commedia all’italiana. In carriera ha diretto i maggiori attori italiani come Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida (Pane, amore e fantasia ed il sequel Pane, amore e gelosia) e sul piccolo schermo è ricordato per aver diretto Le avventure di Pinocchio, considerato uno delle più celebri e amati adattamenti dell’omonimo classico per ragazzi di Collodi. Il Premio Pietro Bianchi (1986) ed il Leone d’oro alla carriera (1987) alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si aggiungono fra le onorificenze a quella di Grand’ufficiale (1987) e di Cavaliere di gran croce (1996) dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

 

FILMOGRAFIA DI SUCCESSO

Fin dall’infanzia, trascorsa nella Francia meridionale, Comencini si appassiona di cinema e quando torna in Italia vince un’edizione dei Littorali della cultura e dell’arte. Con il suo primo lavoro, il cortometraggio Bambini in città (1946) vince il suo primo Nastro d’Argento (miglior documentario), e nel suo film d’esordio Proibito rubare (1948) il regista mostra il suo interesse per il periodo dell’infanzia/adolescenza, tema che caratterizzerà tutta la sua produzione. All’attività dietro la cinepresa Comencini unisce gli studi di architettura, svolti al Politecnico di Milano, e l’attività di critico cinematografico: con il fratello Gianni e Alberto Lattuada fonda la Cineteca Italiana. Il successo arriva nel periodo 1953-54: Pane, amore e fantasia – Orso d’argento al Festival del cinema di Berlino 1954 – ed il sequel Pane, amore e gelosia segnano il lancio della commedia all’italiana. Del 1960 è quello che è ritenuto il suo capolavoro: Tutti a casa è una tragicommedia sull’Italia del dopo-8 settembre con protagonista un sempre bravissimo Alberto Sordi. Altri titoli di rilievo sono il dramma La ragazza di Bube (1963), Incompreso (1966) – David di Donatello “miglior regista” 1967 – e Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova (1970).

Per il piccolo schermo dirige sceneggiati di successo come gli adattamenti di Classici della letteratura Le avventure di Pinocchio (1972), Cuore (1984) e La Storia (1986). Agli sceneggiati si aggiungono alcuni documentari per la Rai: ne I bambini e noi (sei episodi, 1970-1978) Comencini intervista i bambini di diverse regioni italiane e diverse condizioni sociali specialmente i più poveri andandoli a trovare nelle periferie di grandi città e nelle campagne; in L’amore in Italia (5 puntate, 1977-1978) il regista tratta dell’eros ‘visto’ dall’italiano medio. Con il commovente dramma Marcellino pane e vino (1992) il regista si congeda dal cinema per l’aggravarsi del morbo di Parkinson, malattia diagnosticatagli quindici anni prima.

La pubblicazione del libro autobiografico Infanzia, vocazione, esperienze di un regista (1999) è l’ultimo atto di una vita dedicata alla settima arte che si spegne a 90 anni il 6 aprile 2007. Sposato con la principessa Giulia Grifeo di Partanna ha avuto quattro figlie con le quali ha condiviso la passione per cinema: le registe Cristina e Francesca, la scenografa Paola e la direttrice di produzione Eleonora.

 

FIGLIA D’ARTE E DEGNA EREDE

La regista e sceneggiatrice romana Francesca Comencini (19 agosto 1961), dopo aver abbandonato la facoltà Facoltà di Filosofia nel 1982, si trasferisce in Francia dove dirige il suo primo film: Pianoforte, basato sulla storia vera di due giovani tossicodipendenti vince il Premio De Sica al Festival del Cinema di Venezia. Del 1988 è il film La luce del lago mentre collabora con il padre alla stesura di una sceneggiatura: Un ragazzo di Calabria.

Il passaggio al genere documentaristico lo mostrano Elsa Morante (1995), Shakespeare a Palermo (1997), Carlo Giuliani, ragazzo (2002) e, per il piccolo schermo, In fabbrica (2007). Fra gli altri film di finzione sono da segnalare Le parole di mio padre (2001) e Mi piace lavorare (Mobbing) che si aggiudica il premio ecumenico al Festival di Berlino 2004.

L’8 marzo 2005, per iniziativa del Presidente della Repubblica, la regista è nominata Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Da segnalare per il 2014 è la sua collaborazione con Stefano Sollima e Claudio Cupellini per Gomorra – La serie, trasposizione televisiva dell’omonimo romanzo di Roberto Saviano. Il 2015 vede la Comencini drammaturga e regista di teatro con lo spettacolo Tante facce nella memoria ispirato ai racconti di sei donne romane raccolti da Alessandro Portelli sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. Dello stesso anno è il conferimento del Premio Cipputi alla carriera del 33o Torino Film Festival.

 

“Ho provato, ho fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.

(Samuel Beckett)

UN EMOZIONANTE OMAGGIO

Con spietata naturalezza fatta di penombra in contrasto con poche luci ed infine di onirici salti in citazioni e omaggi al mondo in celluloide, avvalendosi di interpreti assolutamente impeccabili nel delineare caratteri in contrasto che si sforzano di ritrovarsi, Francesca Comencini affronta con coraggio e passione il tema del rapporto genitore-figlio in chiave di disagio e sofferenza di una figlia che da adulta ha paura del fallimento e fatica a ritrovare, rispetto all’infanzia, il legame con un padre affermato sia come genitore sia come regista.

Se per Luigi, allergico all’autobiografia, il cinema era passione totalizzante, veicolo di espressione di sé, legame fra un Paese e la sua identità culturale, punto di contatto fra registi e pubblico, Francesca cerca e trova invece una via di accordo fra la rappresentazione di un legame personale attraverso i ricordi e la presentazione di una parte della Storia italiana fatta di set magici e spietati, corridoi altoborghesi, tragedie politiche e drammi personali. Il risultato finale è un emozionante, drammatico e commovente omaggio ad un maestro del cinema e ad un padre che non si è arreso nel guidare sua figlia a ritrovare sé stessa attraverso la passione e la magia che si cela dietro la cinepresa.

 

DA VEDERE.

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