Il taglio dei parlamentari e quel rischio di diventare semplice propaganda

di Francesco Mazzocca
Foto Valerio Portelli/LaPresse 08-10-2019 Roma, Italia Flash Mob M5s per taglio Parlamentari Politica Nella Foto: Flash Mob M5s per taglio Parlamentari Photo Valerio Portelli/LaPresse 08 October 2019 Rome,Italy Flash Mob M5s Party Politics In the pic: Flash Mob M5s Party

La riduzione del numero dei parlamentari senza una corrispondente rivisitazione dei quorum per l’elezione di alcuni organi costituzionali, senza un’attenta attività di aggiornamento dei regolamenti parlamentari, e soprattutto, senza un’urgente e necessaria revisione dell’attuale legge elettorale è semplicemente un’operazione di demagogia, che trova terreno fertile in chi ormai è assuefatto agli slogan antisistema che regnano incontrastati da qualche anno.

Nulla a che vedere con la sistematica riforma costituzionale respinta con il referendum del 4 dicembre 2016, nella quale, pur prevalendo elementi che poco hanno convinto molti costituzionalisti (il no era giusto, a mio avviso), esisteva comunque un’impostazione organica che avrebbe permesso un coerente funzionamento dell’intero sistema costituzionale.

Ma oggi è semplice demagogia, e non stupisce che sia accolta con enorme giubilo dai più. D’altronde, è difficile tenere alta l’attenzione in chi è sceso in piazza al grido de “il mio voto conta“, in chi ritiene che sia giusto introdurre il vincolo di mandato, in chi ha sempre fatto riferimento a modelli che hanno ridotto la politica a una lotta contro il mostro chiamato “sistema” ma che, paradossalmente, hanno poi finito per sfruttare il sistema con alleanze di comodo, identificandosi con lo stesso.

Nessuno combatte contro i propri interessi, ne è un esempio la stessa legge elettorale: fino a quando non si raggiungerà un’intesa su un testo di legge capace di soddisfare in primis gli interessi dei partiti, la legge elettorale non si farà.

Rodotà, Zagrebelski, Gino Strada. Fino a quando il Movimento Cinque Stelle è rimasto all’opposizione, sembrava un partito illuminato, guidato da principi nobili a difesa della Costituzione e della sua integrità, come dimostrato nella battaglia per il referendum del 2016. Di contro, il Partito Democratico è stato il partito delle banche, della casta, e Renzi era stato definito l’uomo della deriva autoritaria.

Passato al governo, i ruoli si sono invertiti per almeno un anno e mezzo: il Movimento ha magicamente lasciato nel dimenticatoio tutti gli insegnamenti di libertà, onestà e difesa dei diritti, attraverso il silenzio sui provvedimenti anti migranti, i condoni approvati in serie, gli stravolgimenti della Costituzione, e riabilitando così il Partito Democratico, che solo apparentemente ha mostrato interesse e opposizione verso l’azione governativa gialloverde.
Oggi si ritrovano al governo, e il ruolo di spalla silente svolto dal Movimento Cinque Stelle nei confronti della Lega è passato dritto al Partito Democratico, a sua volta stampella dei grillini e complice del primo provvedimento monco di qualsiasi collegamento con il resto del sistema costituzionale. Senza dimenticare che resta in piedi l’obbrobrio giuridico dell’interruzione della prescrizione dopo il processo di primo grado, sul quale non c’è nemmeno da discutere.

Ma questa gloriosa assemblea che un tempo poteva contare sui grandi nomi del Costituzionalismo, o sui grandissimi della politica, oggi si è ridotta alle schermaglie sul ripieno dei tortellini, alle alternative agli assorbenti e ai deliri di onnipotenza con i drink di un qualsiasi sabato sera: lo specchio di un Paese ormai senza contenuti, la cui unica aspirazione è accaparrarsi una copia autografata del libro di qualche influencer.

Risparmiateci, però, l’ulteriore spettacolo indecoroso della raccolta delle firme per il referendum dopo aver votato sì.

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