“Grosso guaio a Chinatown”: un irresistibile esperimento che merita di essere cult

di Vittorio Paolino Pasciari

Qui è Jack Burton del PORK-CHOP EXPRESS che parla a chiunque sia in ascolto. Come dicevo sempre alla mia ultima moglie, io mi rifiuto di guidare più veloce di quanto possa vedere. E a parte questo è solo una questione di riflessi.” (incipit del film)

“Grosso guaio a Chinatown” (Big Trouble in Little China) è un film del 1986 diretto da John Carpenter, che del film cura anche la musica, ed ha per interpreti principali Kurt Russel (Jack Burton), Kim Cattral (Gracie Law), Dennis Dun (Wang Chi), James Hong (David Lo Pan), Victor Wong (Egg Shen), Suzee Pai (Miao Yin), Kate Burton (Margo) e Donald Li (Eddie Lee). La pellicola mescola elementi da commedia con il fantasy e le pellicole di arti marziali ed alla sua uscita nei cinema (2 luglio 1986) si è rivelata un insuccesso commerciale (appena 11 milioni di incasso negli USA, a fronte di una previsione di 25 milioni di incasso in patria) dovuto forse ad una strategia pubblicitaria che all’epoca diede maggiore risalto ad Aliens – Scontro Finale, seguito di Alien di James Cameron ed uscito sedici giorni dopo. Il film recupera nel resto del mondo, classificandosi al 27o posto tra i 100 film di maggiore incasso in Italia (il film arriva nelle sale il 5 settembre 1986) per la stagione 1986-1987. Col tempo la pellicola è stata ampiamente rivalutata diventando un cult grazie al successo in VHS e al passaggio sul piccolo schermo.

TRAMA San Francisco, USA. Il rozzo camionista Jack Burton ed il suo giovane amico cinese Wang-Chi si recano all’aeroporto per prendere la fidanzata di Wang, Miao Jin. All’aeroporto la ragazza viene rapita da una banda di teppisti cinesi chiamati i “Signori della Morte” che la portano a Chinatown con l’intenzione di venderla come schiava sessuale. La vita del camionista subisce un’improvvisa svolta soprannaturale quando decide di aiutare il suo migliore amico a salvare la sua fidanzata. Nei quartieri cinesi i due restano bloccati in un violento scontro fra due bande rivali, i Chang Sing e i Wing Kong, e finiscono per imbattersi in David Lo Pan, il malvagio e tenebroso capo mandarino dei Wing Kong. Per salvare la ragazza, con l’aiuto dell’avvocatessa americana Gracie Law, di Eddie Shen, amico di Wang, e di Egg Shen, saggio mago che lavora come guidatore di corriere per turisti, Jack e Wang dovranno scendere nell’oscuro mondo sotterraneo di Chinatown popolato da strane creature e guerrieri in apparenza immortali…

[…] quando qualche maniaco alto due metri e mezzo con l’occhio sanguigno vi artiglia il collo e vi pianta l’unica testa che avete contro la parete di un bar chiedendovi se avete pagato il conto… Voi fissate a vostra volta il primitivo negli occhi e ricordatevi quello che il vecchio Jack Burton dice sempre in casi come questi. Domanda  ‒ Jack hai pagato il conto? ‒ . ‒ Sì gli ho spedito l’assegno per posta ‒ ”.

(da sinistra) Kurt Russel e il regista John Carpenter

ANALISI DEL FILM Se già all’inizio si può desumere il tono fantasy, proseguendo nella visione si finisce per ritrovarsi immersi in mix di genere vario dove immagini, azioni e battute irresistibili fanno da padroni. L’azione è scandita in un ritmo di toccata e fuga in cui, come in una struttura a matriosca, ogni fatto inizia, si blocca e viene inglobato da quello successivo. Un anti-eroe spaccone dalla battuta facile viene suo malgrado catapultato in un universo dove spettacolari scontri fra fazioni sfociano nella magia, tutto in stile orientale. Punto di forza della trama è l’azione, in ogni sua forma come era al suo TOP (anni ’80-’90), intervallata da irresistibili momenti di comicità sorretti principalmente dall’umorismo dell’anti-eroe che se a tratti si mostra spavaldo e sfortunato, alla fine si dimostra, grazie anche alla fortuna, un valido amico nella lotta dei buoni contro cattivi non meno spassosi. L’elemento fantasy rappresentato da effetti artigianali sapientemente usati offre un realismo che non fa invidia, anzi emoziona di più, all’odierno CGI. Gli innumerevoli riferimenti a vari generi di cinema, orientale e non solo, sono da considerare un degno omaggio di un maestro che, in fase di sperimentazione, sorretto da interpreti irresistibili, riesce a creare un unicum del mondo in celluloide capace di divertire i palati più fini e che rappresenta un vero simbolo per chi ha nel cuore un periodo irripetibile per il cinema.

UN ESPERIMENTO IN CONTROTENDENZA In un articolo sul sito Pills of Movies il film viene così definito:

“Un fumetto sfogliato sul grande schermo, che sposa due mondi: quello cinese dei film kung fu e quello americano degli eroi senza macchia. Un’epopea underground che gioca a ribaltare gli stereotipi, sempre all’insegna dell’avventura sfrenata. ”

Con questo film il regista John Carpenter, maestro dell’horror ’80 –‘ 90 (HalloweenThe FogLa Cosa), non solo intuisce ma pone perfettamente in essere una maniera differente di descrivere l’azione, un elemento che nel Cinema di quel periodo irripetibile ha trovato una vera era d’oro. Bagarre, inseguimenti, sparatorie, conflitti a terra, all’arma bianca; l’azione si presenta nel suo senso specifico ma soprattutto nel senso più lato come ritmo, battere e levare degli eventi, sinfonia narrativa. Nell’idea originale degli sceneggiatori, la pellicola avrebbe dovuto essere ambientata nel Vecchio West e avere per protagonista il classico cowboy senza passato che arriva in città e libera la ragazza dalle grinfie del malvagio stregone Lo Pan. Carpenter si ritrova invece coinvolto in un progetto nuovo che, per vicissitudini di produzione, riscrive la trama riportandola ai giorni nostri e la condisce di elementi orientaleggianti inediti per il cinema del periodo.

La mescolanza di forme e la sperimentazione dei linguaggi sono il punto di forza del film e quindi la prima cosa che salta all’occhio della critica. Carpenter costruisce una sorta di micro-universo – è il caso di dirlo – a scatole cinesi che rifugge dagli schemi classici descrivendo la materia umana in movimento in cui i personaggi, dopo brevi pause, vengono sovente scagliati uno contro l’altro in un turbine forsennato di scontri e mischie. Se gli originali di riferimento orientali parlano di un ago che si infila avanti e indietro attraverso un tessuto a comporre un disegno, un arazzo, il regista originario di Carthage dà invece l’impressione di doversi muovere da un punto A ad un punto B, senza un costrutto preciso e preordinato, ma inventando e procedendo all’impronta, filmando ciò che il suo occhio vede in quel momento. E se ovviamente su un set l’improvvisazione deve sempre essere dosata da un ordine di struttura prestabilito, l’ordine mentale con cui Carpenter procede e gira suggerisce, e realizza, l’idea di una naturalezza ben lontana dal ritmo classico orientale.

Controtendenza è anche la rappresentazione rovesciata dell’eroe: invece di una funzione da leader inossidabile che si definisce tale, il personaggio interpretato – magistralmente – da Kurt Russel spesso finisce per apparire una semplice spalla del personaggio di Dennis Dun, il vero outsider quando si tratta di azione vera e propria.

L’azione procede in una potente climax ascensionale per cui, sia nel campo dei buoni sia in quello dei cattivi, è come se le cose si ampliassero a coinvolgere sempre più persone e sempre più azioni, in una tensione anche apocalittica che poi sarebbe stata pienamente riconosciuta a Carpenter come cifra del suo modo di raccontare per immagini. Quello che poi (Il Signore del Male) sarebbe diventato il ritmo carpenteriano (ciò che vediamo e quindi ciò che filmiamo esiste pienamente solo nel momento in cui lo vediamo e lo filmiamo) qui sembra muovere i primi passi.


UN ESPLOSIVO MIX DI DIVERTIMENTO Azione, avventura, fantasy e commedia sono tutti elementi che nel cinema ’80-’90 trovano, in qualsiasi contesto, un livello di perfezione che, anche quando la critica bacchettona lo snobba, rimane per sempre impresso nel cuore del pubblico di cinefili che hanno avuto la fortuna di assaporare, da bambini o adolescenti, un periodo indimenticabile per il mondo in celluloide.

La capacità di poter ritrovare nelle risate offerte da 96 minuti di puro cinema ’80-’90 un valido rimedio alla depressione in aumento nel presente in degrado è una di tante eredità offerte ai trenta/quarantenni che, costretti a limitare, giustamente, spostamenti e libertà – concesse oltre i limiti dell’abuso – per contrastare una pandemia ancora senza cura, con piacere e con orgoglio ricordano quanto i consigli del vecchio Jack Burton – un indimenticabile Kurt Russel, icona del cinema che non ha bisogno di presentazioni – siano utili per ritrovare la voglia di andare avanti:

I consigli del vecchio PORK-CHOP EXPRESS sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo. Basta che vi ricordiate quello che fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell’occhio e gli dice – Mena il tuo colpo più duro amico. Non mi fai paura – ”.

SIMBOLO DI UNA GENERAZIONE.

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