Ai tempi di Gesù, Erode aveva fatto di Gerusalemme un vero centro cosmopolita, un colosso economico nel mezzo del Vicino Oriente. Un capoluogo di provincia che si scopre cantiere di numerose opere pubbliche, immagine, anche e soprattutto, di un potere fortemente centralizzato, che non si fida di nessuno. Un tempio scintillante, eretto in cima a un rilievo creato artificialmente: è la cifra storica del valore di Erode il Grande, a discapito del suo orribile ritratto presente nei Vangeli. Gerusalemme capitale, boom economico, masse di pellegrini, consolidamento del potere dei sadducei, i dottori del Tempio: siamo a cavaliere dell’anno 10 a. E. V.
A questa altezza cronologica, secondo la ricostruzione dello storico dell’ebraismo Michael Satlow (autore del libro “E il signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra”), le Scritture non erano mai uscite dagli angoli bui del Tempio di Gerusalemme. Questi testi, poi divenuti “sacri”, rimanevano sconosciuti ai più, dotati di un tipo di autorevolezza più letteraria, al massimo oracolare, piuttosto che rappresentarne una di tipo normativa. Era preoccupazione dell’alta classe sacerdotale dei sadducei estendere il valore delle Scritture a tutta la comunità religiosa. Come? Questi ministri del culto sfruttarono rapidamente una novità “estera” portata a Gerusalemme dai tanti pellegrini (sia semplici che sapienti): la sinagoga. Le sinagoghe cominciarono a diffondersi in tutto il territorio della Giudea e della Galilea, e con loro una crescente conoscenza e consapevolezza della scrittura.
“Era questo l’ambiente in cui visse Gesù”. Un paio di decenni dopo la sua morte, alcuni dei suoi seguaci sarebbero giunti a stabilire una connessione tra la sua vita e la Scrittura. “Gesù stesso, però, dovette avere una nozione piuttosto vaga delle scritture tradizionali, per non dire delle pretese connessioni esistenti tra queste e la sua personale biografia“: si legge in un passo del libro. Cresciuto in Galilea, una regione ancora dominata dalle vecchie famiglie della nobiltà rurale – in sintonia con i farisei umiliati da Erode – Gesù aveva mostrato un certo interesse, quantunque critico talvolta, per pratiche cultuali giustificate sulla base della tradizione, piuttosto che dei testi scritturali. “Gesù, infatti, avrebbe potuto per molti versi essere considerato un fariseo, assumendo così una posizione che gli avrebbe reso le cose ancora più difficili di fronte alle autorità di Gerusalemme”.
La moderna ricerca sulla figura del fondatore del cristianesimo, si è rivolta negli ultimi anni verso la definizione del contesto giudaico antico nel quale Gesù era immerso, con l’obiettivo di tracciare i legami della sua figura con l’ebraismo, inteso come ortoprassi e scrittura. Nel suo libro, Satlow intende ridurre Gesù all’immagine di personaggio storico sicuramente esistito, che ribadisce durante la sua vita il fatto di essere ebreo nel senso più stretto del termine e che agisce, insomma, come un semi-analfabeta: una visione senza dubbio in contrasto con la successiva rielaborazione dei Vangeli.
“Non è probabile che abbia ricevuto di più di una istruzione formale; dovette, molto probabilmente, la sua conoscenza delle scritture alla partecipazione occasionale alle riunioni sinagogali e, forse, all’insegnamento dei maestri farisei in Galilea”: scrive Satlow. Lo studioso e scrittore ipotizza un Gesù le cui nozioni dovettero essere approssimative, imparaticce e poco coerenti. Chiaramente gli insegnamenti a esse associati dovettero incuriosirlo. Di certo, Gesù ci è noto come maestro di parabole a fini didattici, del tutto prive di riferimenti scritturali.
In un luogo evangelico (Luca 4: 16-22), Gesù viene ritratto con in mano un rotolo del profeta Isaia. Si tratta, dice Satlow, dell’unico momento in cui il galileo viene ritratto nell’atto di leggere un testo biblico: “Se foste vissuti nell’antichità come dei semplici ebrei, analfabeti o semi-alfabetizzati, che conoscevano le scritture solo da citazioni, la vostra conoscenza della Bibbia sarebbe stata decisamente approssimativa. Gesù, alla stregua di un curioso qualunque, avrebbe forse potuto spingersi un po’ più in là lungo la via della conoscenza, ma non di molto“.
I Vangeli condividono chiaramente una visione negativa dei farisei. Tuttavia, a un’attenta lettura, pare emergere la figura di un “Gesù dalle implicazioni farisaiche molto più risentite di quanto le fonti successive abbiano potuto sostenere“. Egli opera immerso nel contesto della “legge”, cioè dei costumi ancestrali d’Israele. Gesù, essendo anche un pensatore indipendente, ebbe contrasti con i farisei su questioni tecniche di etica quotidiana, come il rispetto del sabato o le tradizioni dei padri. Questi dibattiti, come quelli riportati in Matteo 12 e 15, indicano una dinamica interna a un gruppo condiviso, piuttosto che un’opposizione tra rivali ideologici.
Gesù morì così come era nato e vissuto, vale a dire come ebreo autentico. Egli confermò la validità della maggior parte degli “usi ancestrali” degli ebrei e non è particolarmente difficile immaginarlo partecipe di un dibattito interno alla fazione farisaica incentrato non sul valore e l’autorità connaturati a tali usanze, ma piuttosto sulla loro corretta interpretazione. “Gli stessi testi evangelici ci forniscono informazioni assai poco chiare sul conto delle nozioni di cultura scritturale effettivamente possedute da Gesù, senza dirci alcunché neppure sulle origini di queste sue competenze”: sottolinea Satlow. I Vangeli ritraggono spesso Gesù intento a “insegnare”, cioè probabilmente nell’atto di citare alcuni versetti delle scritture per poi illustrarne il senso. Tuttavia, quando si rivolge ai suoi discepoli, Gesù preferisce di gran lunga servirsi a fini didattici di gesti e di parabole, piuttosto che delle scritture e della loro interpretazione: “sembra che, nella vita religiosa del profeta di Galilea, la scrittura in se stessa abbia avuto un ruolo tutto sommato marginale”. Gli evangelisti, seguendo le orme di Paolo, avrebbero rimodellato l’intera biografia di Gesù in modo tale da farne un’immagine totalizzante del pieno compimento delle profezie scritturali, ma “è verosimile che Gesù stesso, quand’anche avesse realmente creduto di essere l’unto di Dio, non avrebbe mai immaginato la propria storia in questi termini”.
Riconoscere la profondità storica e culturale che plasma la figura di Gesù non solo arricchisce la nostra comprensione del cristianesimo primitivo, ma ci spinge a sondare le radici più profonde dell’autorità religiosa, esplorando la complessità dei legami tra tradizione, scrittura e pratica. In un’epoca in cui le figure sacre sono costantemente reinterpretate e dibattute, l’opera di Satlow ci offre una straordinaria opportunità: riscoprire Gesù non come un semplice portatore di dogmi, ma come un uomo immerso nel fervore della tradizione, che tuttavia osò sfidarla, cercando di riscrivere le regole di un’epoca. Un uomo che, con la sua audacia e visione, non solo incise il suo nome nella storia, ma cambiò per sempre il corso della religione e della cultura.