Il labirinto del Fauno (El laberinto del fauno) è un film di produzione spagnola-messicana del 2006 scritto, prodotto e diretto da Guillermo del Toro.
La pellicola rappresenta la seconda parte di una dualogia di film fantastici dello stesso regista, iniziata nel 2001 con La spina del diavolo, ambientati durante la guerra civile e nel dopoguerra in Spagna. Gli interpreti principali del film sono Ivana Baquero (Ofelia), Doug Jones (Fauno / Uomo Pallido), Sergi López (capitano Vidal), Manolo Solo (Garcés), César Vea (Serrano), Maribel Verdú (Mercedes), Ariadna Gil (Carmen), Álex Angulo (dottor Ferreiro), Roger Casamajor (Pedro), Ivan Massagué (ribelle balbuziente), Federico Luppi (Re del mondo sotterraneo) e Pablo Adán (narratore / voce del Fauno).
A fronte di un budget di 19 milioni di dollari il film ha ottenuto un incasso totale di circa 83 milioni risultando un successo al botteghino. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2006 il film si è rivelato uno straordinario successo di critica tanto che il sito Metacritic lo considera l’opera cinematografica più apprezzata a livello mondiale dell’anno 2006. Fra i riconoscimenti si segnalano il Premio “miglior film” alla National Society of Film Critics, e 3 Oscar (miglior fotografia, miglior scenografia, miglior trucco).
Il 3 aprile 2019 Del Toro annunciò la pubblicazione di un’antologia di racconti per approfondire ed espandere la mitologia alla base del film, scritta da lo stesso regista assieme a Cornelia Funke e pubblicata in Italia il 15 ottobre 2019.
TRAMA Spagna, 1944. La Guerra Civile si è conclusa da tempo con Francisco Franco che ha preso saldamente il pieno potere sulla nazione. In una zona montuosa ci sono però ancora dei ribelli che non si arrendono al nuovo regime. L’avamposto deputato è sotto il comando dello spietato capitano Vidal che ha chiamato a sé la moglie incinta Carmen, perché vuole che partorisca presso di lui. La donna patisce il lungo viaggio e ha portato con sé la figlia Ofelia, nata dal primo matrimonio con un sarto morto in guerra. In questo contesto di tensione, turbata dalle sofferenze della madre ed insofferente alla severità del patrigno, la piccola Ofelia sfrutta la sua immaginazione e si rifugia in un mondo incantato che però si sovrappone alla realtà, rivelando quanto anch’esso sia reale e non solo una fantasia. Una notte, infatti, accompagnata da delle fate, la bambina si addentra in un labirinto situato presso la casa in cui risiede, incontrando al centro di esso un Fauno. La creatura le spiega che lei è la reincarnazione della principessa Moana, figlia del Re del mondo sotterraneo, che secoli prima scomparve quando si addentrò nel mondo degli umani. Per poter tornare nel suo mondo di origine Ofelia dovrà superare tre prove che le saranno rivelate man mano da un libro magico.
ANALISI DEL FILM Due contesti, uno reale e tragico ed un altro fantastico e non meno oscuro, vengono posti sullo stesso piano attraverso l’esperienza diretta di una bambina che vive una drammatica esistenza nell’orrore della guerra. La giovane protagonista vive nel suo piccolo mondo di libri per non sentire il peso sempre più gravoso di una vita familiare segnata dalla perdita del padre, seguita di lì a poco da quella della madre, e dalla presenza di un patrigno crudele e sadico. All’improvviso quel mondo che credeva confinato nelle pagine si manifesta ai suoi occhi e la conduce in un’avventura rischiosa con la prospettiva di una nuova esistenza serena. Il crudele realismo con cui viene tratteggiata la lotta dei guerriglieri contro l’esercito franchista è perfettamente riflesso in una scenografia gotica che rasenta l’horror nel mostrare i pericoli delle prove affrontate nel mondo delle fate. Il mondo fantastico non è meno spietato di quello reale e ciò che appare bello è solo un breve preludio al macabro. Ed il finale è un falso lieto fine che se denota una denuncia sottilmente velata della tragedia storica di riferimento, allo stesso tempo insegna quanto la purezza dell’infanzia sia un bene da preservare prima di essere totalmente corrotti dalla crudeltà che riserva il diventare adulti.
SOGGETTO, MITOLOGIA, DENUNCIA Il contesto fantastico delineato da Del Toro è ricco di richiami al mito e di invettive contro la crudeltà di un’epoca. Vediamo qualche curiosità. Per circa vent’anni il regista riempì di bozzetti e appunti vari un taccuino che rischiò di perdere durante un viaggio. E durante l’infanzia il regista afferma di aver avuto un sogno ricorrente in cui, a mezzanotte, osservava un fauno sbucare da un orologio appartenuto a suo nonno. La genesi del film e del personaggio che dà il titolo è da rintracciare in questi due elementi biografici del regista.
Il Fauno era una divinità della natura appartenente alla mitologia italica e poi romana. Dio della campagna, dei pascoli e dell’agricoltura, il suo aspetto canonico era di forma umana ma con gambe e corna di capra. Chiamato anche Luperco, in qualità di difensore delle greggi e degli abitanti della campagna dagli attacchi dei lupi, aveva come passatempi cacciare e corteggiare ninfe (divinità dei boschi). Amava suonare un flauto a canne (siringa) ed era portatore di istinti sessuali. L’ unico tempio a lui dedicato in Roma si trovava sull’isola Tiberina e nei pressi di un bosco situato nelle vicinanze della fontana Albunea (Tivoli) esisteva un celebre oracolo a lui dedicato. In seguito la sua figura fu associata a quella del Satiro della mitologia greca. Seppur di aspetto simile, gradatamente umanizzato nelle versioni successive, quest’ultimo era una divinità minore legata al culto di Dioniso (Bacco per i Romani). Abitanti di boschi e montagne, simboli della fertilità (talvolta presentano attributi maschili in evidenza) e della forza vitale, bestiale, della natura, questi personaggi sono spesso rappresentati come esseri lascivi, dediti al vino e a danzare con le ninfe suonando l’aulòs (flauto a una o due canne). Nella versione scelta dal regista si può notare una fedeltà parziale ai miti con un’aggiunta di elemento intimidatorio che rende il personaggio più intrigante.
Carlos Schwabe, Il Fauno (1923)
Il grottesco e terrificante Uomo Pallido è basato su uno yōkai (mostro della mitologia giapponese) e il suo atto di divorare le fate allude al mito di Saturno (Crono per i greci) che divora i suoi figli immortalato dal pittore Francisco Goya in un dipinto:
Francisco Goya, Saturno divora i suoi figli (1823)
Il regista ha affermato che questo essere è la rappresentazione di tutto il male istituzionale che si ‘nutre’ degli indifesi. Non a caso sorveglia un ricco banchetto (facile esca in periodi di carenza dovuti alle guerre) dal quale, se il malcapitato bambino assaggia qualcosa, non può scappare finendo divorato dal mostro.
REALE E FANTASTICO Con le seguenti parole il critico cinematografico Roger J. Erbert descrive il film di Del Toro:
“Ciò che rende Il labirinto del fauno di Del Toro così potente, penso, è il fatto che unisce due tipi di materiale, ovviamente incompatibili, insistendo nel rimanere fedele ad entrambi fino alla fine. Poiché non vi è compromesso né via di fuga, e i pericoli di ciascun mondo sono sempre presenti nell’altro. Del Toro parla della ‘regola dei tre’ nelle favole (tre porte, tre regole, tre fate, tre troni). Non sono certo che tre visioni di questo film siano sufficienti comunque.” (Roger Erbert)
L’Uomo Pallido
E per meglio comprendere il valore intrinseco del film basterebbe citare le parole del narratore a conclusione della storia:
“E si dice che la principessa discese nel regno paterno e che lì regnò con giustizia e benevolenza per molti secoli, che fu amata dai suoi sudditi e che lasciò dietro di sé delle tracce del suo passaggio sulla terra… visibili solo agli occhi di chi sa guardare”.
Lo spietato e suggestivo realismo con cui viene rappresentata la crudeltà di entrambi i contesti, perfettamente fusi nella trama, lascia fin troppo evidente una denuncia del mondo degli adulti che si ammazzano fra di loro in guerre mai giustificate seppur insite nei primordiali istinti di noi esseri umani.
Contro tutto questo male, in un cliché ampiamente sfruttato in letteratura e in celluloide, si oppone la purezza dell’innocenza rappresentata dall’infanzia, un dono perso che se recuperato può ridare speranze, mai come adesso foriero di triste verità quando viene barbaramente soppresso.
SUGGESTIVO.