E’ di questi giorni la conferma dell’ orientamento sposato dalla Corte di Cassazione in merito al riconoscimento di una bimba da parte di una coppia di donne omosessuali. Cerchiamo di capirci di più.
La vicenda – come raccontata da Studio Cataldi – trae origine dalla pronuncia della Corte di Cassazione circa il rifiuto opposto dall’Ufficiale di stato civile alla richiesta presentata da una coppia di donne omosessuali di dichiarare congiuntamente il riconoscimento della bambina. Quest’ultima veniva concepita all’estero facendo ricorso alla fecondazione medicalmente assistita e nasceva in Italia partorita da una delle due donne la quale era anche il genitore biologico. La coppia si opponeva al diniego dell’Ufficiale di stato civile sia in primo che in secondo grado, ma con esito negativo in entrambi i giudizi. La Corte d’Appello di Venezia rigettava il reclamo proposto poichè l’Ufficiale di stato civile non deteneva il potere di inserire nell’atto dello stato civile indicazioni e dichiarazioni non consoni alla legge italiana. Le donne richiedevano che nell’atto di stato civile fosse indicata anche la maternità della partner che non aveva partorito la bambina (ovvero la madre intenzionale). La coppia quindi presentava ricorso in Cassazione evidenziando il diritto di entrambe di vedersi riconosciute quali madri della bambina, di aggiornare l’atto di nascita, oltre a veder rispettato il principio di bigenitorialità. Tuttavia, i Giudici di legittimità respingevano il ricorso proposto dalla coppia richiamando, a tal fine, l’articolo 5 della Legge n. 40 del 2004 che impone il divieto di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, fatta eccezione per le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi.
Tale legge intende affermare che una sola persona possa acquisire nell’atto di nascita il ruolo di padre o di madre in ragione del legame biologico o genetico esistente col figlio. Si tratta di un rapporto di filiazione basato su dati biologici che per la Corte costituisce un principio fondamentale per l’ordinamento giuridico italiano. Non assumeva dunque rilievo la circostanza che la fecondazione medicalmente assistita sia stata effettuata all’estero, ma la necessità di formare l’atto di nascita in Italia che non può avere contenuti contrari alla legge. Diverso è il caso in cui l ‘ordinamento italiano riconosca un figlio acquisito all’estero da due donne. La differenza che intercorre tra la richiesta di riconoscimento di un atto estero e la richiesta di formazione di un atto in Italia è sostanziale. In poche parole, se l’atto di nascita si sia formato all’estero, riceve riconoscimento in Italia, seppur contrario al divieto posto dalla L. 40/2004 per le coppie omosessuali di accedere alla procreazione medicalmente assistita. Il legislatore privilegia, infatti, l’interesse del minore di conservare anche in Italia lo status filiationis già acquisito all’estero.
Discorso diverso si identifica quando si tratti di una coppia genitoriale femminile che ha fatto accesso all’estero alla procreazione artificiale, nella specie della maternità surrogata, pratica vietata nel nostro ordinamento. La Corte di Cassazione ritiene in questi casi che debbano essere ritenuti preminenti interessi quali, ad esempio, la continuità nei rapporti di filiazione prevista a tutela della prole, la tutela della salute e della dignità della donna che abbia concorso a generare il bambino, oltre che la tutela dei valori fondamentali dell’adozione. Pertanto, il divieto di maternità surrogata costituisce un principio di ordine pubblico interno che, se violato, impedisce il riconoscimento da parte del nostro ordinamento degli atti di stato civile formati all’estero.
Del resto, gli Ermellini sottolineano la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, tramite il ricorso ad altri strumenti giuridici, tipo l’adozione. La Corte, dunque, ha provveduto a rigettare il ricorso in quanto ha ritenuto corretto l’orientamento adottato dalla Corte di Appello circa il divieto di accesso per le coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita, specificando il principio secondo cui una sola persona ha diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, dal momento che si considera il rapporto di filiazione fondato sul legame biologico e/o genetico con il neonato. Tale divieto è attualmente in vigore e si applica agli atti di nascita formati o da formare in Italia, differentemente dagli atti formati all’estero di cui si chiede nel nostro Paese il riconoscimento senza tener conto del luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa.