Ha fatto discutere e continua far discutere l’intervento di Fedez all’evento del primo maggio. L’artista ha denunciato, in diretta Tv, alcune pressioni che avrebbe ricevuto per modificare e in un certo senso edulcorare il contenuto del suo discorso. I vertici Rai, infatti, avrebbero chiesto all’artista di adeguare il senso del suo discorso al contesto televisivo. Fedez ha mantenuto intatto il discorso che aveva preparato, tuttavia ciò ha lasciato degli strascichi, con tanto di botta e risposta tra la Rai e il cantante, che ha anche postato sui social un video in cui registrava la telefonata con i vertici Rai. C’è da sottolineare che la censura non c’è assolutamente stata, tant’è che il discorso di Fedez con nomi e cognomi di politici vari è andato normalmente in onda.
Il punto cruciale non è ciò che si può dire e ciò che non si può dire: in questo caso ciò che l’artista aveva intenzione di dire è stato detto, senza tagli né censure. Ma il senso del discorso di Fedez riguardava l’indifferenza della politica, che dall’inizio della pandemia ha dimenticato le istanze della società concentrandosi su argomenti molto meno rilevanti, ma che hanno ricevuto più attenzione e premura proprio in questi mesi. Senza entrare nel merito della calendarizzazione dei lavori parlamentari, questione toccata chiaramente dall’artista nella sua invettiva, va sottolineata l’inadeguatezza della classe politica italiana nell’affrontare la crisi pandemica, non solo per l’incapacità di adottare contromisure funzionali a superare lo stallo economico (ristori non sufficienti) e sanitario (campagna vaccinale che prosegue a rilento e con momenti di confusione), ma anche per l’assoluta mancanza di empatia verso la drammatica situazione in cui versa la maggioranza dei cittadini.
La censura (in questo caso non avvenuta) è solo una delle conseguenze (gravi) della manifesta volontà della politica di nascondere le sue vere priorità, che vanno dalla conservazione dei privilegi alla trattazione di questioni che non apportano nessun miglioramento alle condizioni sociali ed economiche di un paese, oltre che a frenare la crescita etica di una nazione ancorata a chiusure medioevali. Questo atteggiamento di incomprensione verso le esigenze di tutti segna una distanza incolmabile tra il paese reale e il paese legale, tra le esigenze della maggioranza della popolazione e i bisogni di una ristretta cerchia di persone che, chiaramente, non saprà mai comprendere le difficoltà di intere categorie produttive che fanno i conti con una crisi senza sbocchi.
Tutto ciò che riguarda la censura e il controllo degli organi di informazione è solo una conseguenza di quella che viene definita l’epoca della partitocrazia, quella in cui sono i partiti a decidere tutto in una espressione di pluralismo che non significa più coesistenza di idee e opinioni molteplici, tutte sullo stesso livello e meritevoli del medesimo trattamento, ma un pluralismo di occupazione di ogni organo ad uso e consumo di ristrette élite, che oggi sono appunto i partiti. Un pluralismo di occupazione e non di libertà, una par condicio che mette in secondo piano valori universali e princìpi indiscutibili rispetto agli interessi di pochi, nessuno escluso. E’ anche questo un segno di quella inevitabile e purtroppo esistente frattura tra una piccola parte di società, sempre più gelosa dei propri privilegi, e l’altra restante maggioranza che deve lottare quotidianamente per vedere riconosciuti i propri diritti. E non si tratta di ridurre la visione della politica a una considerazione semplicistica, demagogica: sarebbe troppo comodo dire che la politica è il male.
La politica non è il male della società, lo è sicuramente una cattiva politica, quella fatta di decisioni che non tengono in considerazione le istanze dei molti, in un periodo di crisi di interi settori produttive e di miseria per tante categorie della società. Vedere strati della società uno contro l’altro, come accaduto in occasione delle proteste dei ristoratori che hanno visto scontri tra rappresentanti delle forze dell’ordine e alcune categorie produttive, è davvero una sconfitta. E’ una sconfitta di tutta la società, ma è una sconfitta che ha le sue fondamenta nella incapacità della classe dirigente di dare risposte concrete ai problemi della società. Purtroppo uno spettacolo cui siamo costretti ad assistere da sempre, e la pandemia ha soltanto messo a nudo la poca bontà di tante decisioni che arrivano dall’alto.