Essere in Egitto ma non vedere l’Egitto

di Luca Marro
Quest’articolo lo devo scrivere bene, non posso sbagliare. É un obbligo. Dopo gli ultimi racconti, i miei amici mi hanno bombardato di critiche. Claudio più di tutti. A me le critiche non piacciono. Non le so accettare, le prendo troppo sul personale. Ho dei grandi problemi di autostima. Allora, per evitare l’inizio di una depressione che è sempre dietro l’angolo, questa volta ho deciso di impegnarmi seriamente. Voglio riscattarmi. Voglio che lunedì Claudio mi contatti e mi dica: “Guarda Luca, amico mio, fratello carissimo, mi sbagliavo. Tu si que vales”. Le buone intenzioni ci sono, il problema è che adesso non so bene come continuare.
Una delle cose più fuori dall’ordinario che ho fatto negli ultimi tempi è stato un breve ma intenso viaggio in Egitto. Ho visitato l’Egitto nel 2023, e dati i miei problemi di memoria la maggior parte dei dettagli della vacanza l’ho già dimenticata. Solo una cosa mi ricordo bene. Questo viaggio m’ha lasciato una sensazione strana. “Bizarre” direbbe il mio alter ego francese effemminato.
C’è una parte di me che è stata super contenta della mia esperienza egiziana. Ho fatto un sacco di cose che non avevo mai fatto prima: ho nuotato con delfini che si violentavano a 30 cm di distanza da me, ho visitato le piramidi e le tombe dei faraoni, ho passato una notte nel deserto con dei beduini semi muti, ho fatto il bagno nel mar Rosso. Tutto bellissimo, veramente. Ma c’è un’altra parte di me che in Egitto non si è sentita bene. Non so mai riuscito ad avere un contatto reale con la gente del posto. Ogni mia interazione con un altro essere umano si basava sull’idea di fondo che prima o poi avrei dovuto dargli dei soldi. Agli occhi della gente ero semplicemente il turista, un nuovo pollo da spennare. Il target preferito di qualsiasi venditore egiziano che incrociavo.
Tutta questa attenzione morbosa nei miei confronti mi ha fatto troppo strano. Camminavo per strada e mi sentivo come il vincitore del Grande Fratello. Tutti mi riconoscevano, tutti mi cercavano di vendere qualcosa, ma nessuno mi parlava veramente. Non lo so come spiegare bene. Mi sentivo come se non mi fosse concesso mescolarmi alla cultura locale. La mia esperienza è stata una cosa tipo: ok adesso tu stai qua, ti fai i tour turistici che sono già belli pronti e organizzati per te, ti compri qualche cosa, ci dai i soldi, fai due-tre foto e te ne ritorni a casa, felice e contento.
Io così ho fatto, ma non è che sono stato così felice e contento. Mi è mancato qualcosa, tipo quando mangio un hamburger vegetariano. Non è male, il gusto è pure ok, ma non è la stessa cosa del panino con la carne. Anche se gli assomiglia.
Questa cosa la devo spiegare bene per Claudio perchè quando scrivo troppo complicato non capisce e poi mi dice che non so capace. Sono stato in Egitto, ma non ho vissuto l’Egitto. Ne ho visto una versione poco autentica esclusiva solo a noi turisti. Non ho imparato niente sulla cultura del posto, le tradizioni, come vive la gente. Sono stato bloccato la maggior parte del tempo in una bolla fatta da resort, all you can eat, guide e tour turistici mal organizzati dalla quale non so riuscito a uscirne. E per assurdo, più ci stavo dentro più mi allontanavo dall’Egitto stesso.
Ora però non vorrei che gli egiziani si incazzino con me perché non ho capito l’essenza del loro paese e la loro cultura. Io non sto dicendo che ce l’ho con l’Egitto o con gli egiziani. Non ce l’ho con nessuno (a parte quel maledetto che si è fatto pagare 40 euro per farmi da guida non autorizzata nella valle dei Re, una rapina del genere non si vedeva dai tempi in cui il Napoli comprò Edu Vargas).
Io credo che, in tutta onestà, in Egitto mi sia sfuggito qualcosa di importante. Essenziale. Adesso mi piacerebbe scrivere qualcosa di profondo, riuscire a fare un bel pensiero introspettivo sul turismo di massa, sugli effetti collaterali che il turismo può avere sul tessuto sociale di un paese oppure su questa moda di viaggiare alla ricerca della foto più bella anziché della scoperta del posto. Ma la non mi esce niente. In un altro momento forse avrei scritto qualcosa di intelligente. Purtroppo, però, adesso l’unica cosa che riesco a pensare è: chissà se sono riuscito a impressionare Claudio? Ho bisogno di saperlo. Allora gli faccio leggere questo pezzo in anteprima. E la sua risposta è stata molto simile a quella che mi aspettavo: “Guarda Luca, amico mio fratello carissimo, mi sbagliavo. Non ti deprimere ma st’articolo è peggio di quelli di prima”.
Tutto è bene quel che finisce bene.

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