Non si placano le polemiche attorno alla stretta anti-rave. Le opposizioni denunciano che il reato, oggetto di recente decreto emanato dal governo Meloni, determini una limitazione delle libertà personali e chiedono di ritirare la norma sulla quale anche i giuristi sollevano una questione di costituzionalità.
“Il Governo ritiri il primo comma dell’art434bis di riforma del Codice Penale. È un gravissimo errore. I rave non c’entrano nulla con una norma simile. È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione”: ha scritto il segretario del Pd, Enrico Letta, dando il via a un botta e risposta con l’esecutivo.
All’articolo 5 del decreto varato dal governo il 31 ottobre viene introdotto il reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica (434-bis del Codice penale). La fattispecie si configura nel caso in cui più di 50 persone invadano in modo “arbitrario” terreni o edifici, pubblici o privati e da ciò ne può derivare “un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
Nel decreto si stabilisce che chi “organizza o promuove l’invasione” è “punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro“, mentre “per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita”. La norma, dispone la “confisca delle cose utilizzate per commettere il reato” nonché di quelle “utilizzate per realizzare le finalità dell’occupazione”.
L’ex presidente della Consulta, Giovanni Maria Flick, il presidente delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, e tanto altri, contestano l’introduzione del nuovo reato. Il rischio è che possa entrare in contrasto con l’articolo 17 della Costituzione che garantisce il pieno diritto di manifestare, sopprimibile “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”.
In seguito alla critiche arrivate nelle ore successive alle presentazione del nuovo reato, il Ministero dell’Interno ha precisato che la norma “non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle Istituzioni”. Tuttavia, le rassicurazioni del Viminale non sembrano bastare.
“La norma che vieta i rave stabilisce sanzioni anche per i partecipanti, nei confronti dei quali la pena è diminuita – ha commentato il presidente degli avvocati penalisti definendo “un delirio” la formulazione – Ciò vuol dire che il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione che può arrivare fino ad un terzo della pena edittale che nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni. Non comprendo, quindi, perché il premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni dal momento che questo reato prevede pene superiori ai cinque anni“.
“C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori – spiega il costituzionalista della Sapienza, Gaetano Azzariti – A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato. Senza neppure poter escludere quelli di politici o sindacalisti che organizzano raduni ritenuti pericolosi”.
“La norma comincia con una definizione, come fanno i vocabolari – ha commentato Tullio Padovani, docente emerito di Diritto penale alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa – Il testo, però, stabilisce soltanto che il reato sussiste quando c’è l’invasione di un terreno o di un edificio altrui, e quando ci sono almeno 50 persone. Non viene detto nulla di quando si realizza un pericolo per l’ordine pubblico o per l’incolumità pubblica o per la salute pubblica, che restano nozioni vaghe, vaghissime. In altre parole, viene ripetuto l’oggetto da definire, attraverso un meccanismo tautologico. O è una presa in giro o è un caso di assoluto analfabetismo legislativo. Siamo di fronte a concetti che non sono definiti da nessuna parte, a fattispecie che quindi saranno riempiti ex post dall’interprete. E proprio per la sua vaghezza, la norma potrà tranquillamente essere applicata anche ai casi di occupazione di edifici scolastici e universitari”.
Il giurista Giovanni Guzzetta ritiene invece che l’art. 17 della Costituzione garantisce la libertà di riunirsi e prevede che la riunione sia tutelata entro certi limiti: il testo dell’articolo 5 del decreto-legge 162 del 2022 pone come condizione per la sanzione penale il pericolo per salute pubblica, l’ordine pubblico e dell’incolumità pubblica. Dunque, dal punto di vista dei presupposti, si rientra nei confini consentiti dalla Costituzione. Non sarebbe una norma illiberale perché rientra nella cornice della Costituzione.
E’ vero, poi, che questa norma punirebbe le occupazioni scolastiche? Dice Guzzetta: “Premettendo che le occupazioni scolastiche non sono un diritto costituzionale, la definizione della fattispecie del decreto-legge mi sembra molto rigorosa. La norma parla di raduni arbitrari e pericolosi per l’incolumità, la sicurezza e la salute pubblica. Penso che questo sia il confine. Dunque, quando si applica, tutto dipende da questi limiti. Insomma, se l’occupazione di una scuola non minaccia l’incolumità, la sicurezza e la salute pubblica questa norma non si applica. Inoltre stabilire una sanzione di tipo penale significa assicurare che questa valutazione sia rimessa a un giudice. Si va, quindi, addirittura oltre la Costituzione perché la Carta prevede che questi eventi possano essere vietati dalle autorità di pubblica sicurezza. Qui il vaglio spetta al giudice“.
Insomma, le posizioni sono varie e ancora confuse. Non ci resta che attendere l’ evoluzione di questa vicenda, e sopratutto cosa ne pensa il Presidente della Repubblica.