Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata è iniziato il percorso che dovrebbe portare le Regioni a ottenere l’indipendenza legislativa nella gestione di 23 materie che, oggi, sono di competenza dello Stato. Il testo è stato definito a seguito di un lungo braccio di ferro tra Lega e FdI e si compone di dieci articoli. All’interno c’è di tutto, dalla scuola all’energia, professioni e alimentazione, porti e casse di risparmio, sostegno all’innovazione e finanza pubblica, fino alla tutela della salute.
Il decreto prevede che in materia di sanità, ad esempio, le regioni abbiano “una doppia opportunità: gestire direttamente materie e risorse e dare ai cittadini servizi più efficienti e meno costosi”. La Fondazione Gimbe ha affermato che questa “opportunità” causerà un maggiore divario tra le diverse Regioni, dando alle regioni del Centro-Sud meno risorse rispetto alle Regioni del Nord. Secondo il Gimbe, il Decreto Calderoli permetterà alle regioni di gestire autonomamente le retribuzioni dei medici, i contratti di lavoro del personale sanitario, gli accessi alle scuole di specialità, per cui chi ha soldi attrarrà lavoratori dalle altre Regioni svuotando gli ospedali e le ASL del Centro-Sud. Le regioni potranno intervenire sulle registrazioni dei farmaci e rimuovere vincoli di spesa.
Calderoli prevede un’autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi, al fine di permettere a chi ha la possibilità di istituire un’assicurazione sanitaria di modo da poter spingere sulla privatizzazione dei servizi. Come è noto, i fondi sono deducibili dalle tasse, risultando in un minore introito per la fiscalità generale.
Più assistenza privata significa meno soldi per quella pubblica, creando un sistema sanitario “americano”. In Toscana c’è una sola azienda sanitaria territoriale. In Veneto ce ne sono nove. In Lombardia le aziende sanitarie si chiamano Asst, altrove si chiamano Ats, al sud si chiamano aziende provinciali. In Friuli Venezia Giulia ci sono le aziende uniche, al cui interno vengono coordinati ospedali, università e strutture territoriali. Poi il Veneto ha avviato la formazione complementare degli Oss, gli assistenti socio assistenziali, mentre in Campania è stato istituito lo psicologo di base, mentre in Lombardia non c’è. Quindi, limitatamente alla Sanità, l’autonomia differenziata esiste già.
Gli effetti del federalismo sanitario esistono dal 1992 e prevedono che siano le Regioni a gestire la Sanità, sono sotto gli occhi di tutti. Infatti, ci sono i LEA, ovvero, le prestazioni e i servizi minimi – in termini di prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera – che il Servizio sanitario nazionale è obbligato a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o con una quota di ticket. Sono le Regioni che devono organizzarsi in modo tale da garantire un servizio adeguato a tutti, in modo tale che il Sistema Sanitario Nazionale sia universale e le cure uguali per tutti. Questo sarebbe l’obiettivo, perché nei fatti Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte e Lombardia soddisfano almeno l’87% dei livelli minimi di assistenza, le Regioni del centro Italia, più Liguria e Trento li raggiungono ma non pienamente, più arretrate invece le regioni del Sud.
Con l’introduzione del Decreto Legge Calderoli sull’autonomia differenziata, la situazione potrebbe in effetti peggiorare perché le Regioni potranno chiedere più autonomia in ambito sanitario, specialmente rispetto al compenso previsto per il personale infermieristico e medico. I sindacati hanno espresso un parere negativo rispetto all’estensione dell’autonomia all’ambito sanitario. Lo stesso ministero della Salute ha dichiarato che sarebbe opportuno mantenere in capo al ministero stesso un ruolo di indirizzo. La Fondazione Gimbe, ente indipendente che si occupa di analisi sulla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale, ha realizzato un dossier sulla questione, descrivendo uno scenario da incubo per la qualità di vita dei cittadini delle regioni più svantaggiate se l’autonomia differenziata fosse confermata anche per la sanità.
Il nocciolo del problema è capire come si potrà finanziare le regioni economicamente meno floride. Finanziariamente potrebbe essere un disastro, perché le Regioni carenti dal punto di vista dei servizi pagano alle Regioni in cui i pazienti decidono di curarsi una compensazione finanziaria: secondo la Corte dei Conti, 13 Regioni, quasi tutte al Sud, hanno accumulato un debito di 14 miliardi nei confronti delle Regioni del Nord. Altra novità riguarda lo schema di intesa che deve essere trasmesso alla Conferenza Unificata, e non dopo la sottoscrizione. A quel punto lo schema di intesa preliminare viene trasmesso alle Camere per l’esame entro 60 giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale. Lo schema di intesa definitivo dovrà quindi essere approvato dalla Regione ed entro trenta giorni sarà deliberato dal Consiglio dei Ministri.
Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) potrà essere effettuato soltanto dopo la determinazione degli stessi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard. Le risorse umane, strumentali e finanziarie saranno determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione della quale faranno parte, per lo Stato, un rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, un rappresentante del Ministro dell’economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali.
A livello territoriale, le funzioni amministrative trasferite alla Regione potranno essere attribuite a Comuni, Province e Città Metropolitane dalla stessa Regione, in virtù dell’articolo 118 della Costituzione. L’intesa con cui lo Stato attribuisce funzioni di autonomia differenziata a una Regione ha una durata “non superiore a dieci anni” e può prevedere le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine di durata, l’intesa è rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata dodici mesi prima della scadenza. Il finanziamento delle funzioni attribuite avviene attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali a livello regionale, in modo tale da consentire l’integrale finanziamento delle funzioni attribuite. Le Regioni che potranno trattenere più gettito fiscale offrirebbero ulteriori prestazioni aggiuntive ai propri cittadini rispetto ad altre. Starà al buon funzionamento del meccanismo di perequazione evitare questo rischio.
Il presidente della Regione Campania, Vincenzo de Luca, ha espresso parere negativo sul predetto ddl. “Questi hanno in testa – ha detto, riferendosi al Governo – di prendere i fondi del Sud e spalmarli sul piano nazionale. La motivazione che daranno è che al sud non spendiamo i soldi, è una grande palla e l’ha detta anche Meloni. Questo nuovo imbroglio serve per dare una motivazione alla rapina dei fondi e dovremo ora fare una battaglia unitaria al Mezzogiorno al di là delle bandiere di partito, perché ci giochiamo il futuro delle prossime generazioni. Dobbiamo combattere con unghie e denti per avere non soldi in più per recuperare, ma almeno gli stessi diritti che hanno i cittadini del Nord. Dobbiamo insieme al Sud stare attenti a cosa si muove su piano nazionale, sull’autonomia differenziata che rischia di essere non solo la rottura dell’unità d’Italia ma la morte del Sud, partendo da sanità e scuola – ha aggiunto De Luca – Siamo nella fase di esaltazione del Governo, questo è capitato pure a Renzi e a Draghi nei primi 6-7 mesi. Il primo anno è luna di miele, poi alla fine ci svegliamo e ci rendiamo conto dei problemi – ha concluso il governatore – Vedremo nei prossimi mesi come si evolverà l’intricata faccenda“.