Le vicende politiche degli ultimi giorni ci ricordano quanto sia veloce l’evoluzione o, se si preferisce, l’involuzione dello scenario politico italiano ogniqualvolta si presenta una crisi istituzionale, che si ripercuote inevitabilmente anche nella percezione che si ha dei partiti e coinvolge i narratori del bel Paese. Siamo infatti passati da un populismo galoppante e dall’uno vale uno all’adorazione della competenza quale elemento fondante della classe dirigente. Ascoltare media e leader di partito in questa improvvisa celebrazione del nuovo corso fa rabbrividire. Posto che l’oggettivo sapere tecnico rappresenta un elemento imprescindibile, resta ingiustificabile il totale asservimento della politica allo stesso perché innanzitutto ne certifica il fallimento, e perché è assolutamente inconciliabile con un parlamento di nominati.
Bisognerebbe chiedere alla politica come si può coniugare questa improvvisa adorazione della competenza, che innanzitutto sconfessa la visione complessiva affermatasi negli ultimi anni, con il meccanismo di selezione dei candidati delle liste che resta ancorato alla pura discrezionalità degli apparati dirigenti. E bisognerebbe chiedere a qualsiasi cittadino quale coerenza si aspetta dai propri rappresentanti, essendo questi ultimi legittimati da regole che escludono qualsiasi forma di rendicontazione nei confronti dei rappresentati.
L’incostituzionalità del vincolo di mandato è un baluardo della libertà di scelta dei rappresentanti, ma sarebbe opportuno rivedere i meccanismi che regolano le procedure di elezione dei componenti del Parlamento: il listino bloccato incentiva la pratica del trasformismo e nello stesso tempo annulla ogni forma di scelta da parte dell’elettore. La misurazione della fiducia che il singolo candidato riceve con le preferenze è anche valutazione delle sue performance: l’eletto, che eventualmente vuole cambiare casacca in corso d’opera, sa che deve rispondere a un certo numero di elettori quando si ripresenta alle elezioni, e sarà meno tentato dal farlo. Oggi, invece, il listino bloccato permette all’eletto di mimetizzarsi ed evitare di rispondere delle proprie scelte di fronte al suo elettorato. Oggi votiamo per un simbolo che è soltanto un logo colorato privo di qualsiasi valore e di qualsiasi indirizzo: in un contesto politico di disallineamento ideologico e totale irresponsabilità dei rappresentanti non può essere più considerata una scelta consapevole.
Il grande deficit italiano si chiama legge elettorale. Non c’è bisogno di ampliare la democrazia diretta o addirittura pensare che questa possa sostituire quella rappresentativa. È sufficiente che la democrazia rappresentativa sia sufficientemente rappresentativa e garantisca l’indiretta ma effettiva partecipazione dell’elettore ai processi decisionali. Il grande bluff degli ultimi anni è stato far credere agli italiani di poter colmare la distanza tra la politica e i cittadini con l’allargamento degli strumenti di democrazia diretta, o addirittura pensando di sostituire la democrazia rappresentativa con la democrazia diretta: bastava invece rendere la democrazia rappresentativa effettivamente rappresentativa con una legge elettorale seria.