La retorica politica cui siamo costretti ad assistere quotidianamente raggiunge i suoi livelli più alti ogniqualvolta si apre una crisi istituzionale. In questi giorni una delle espressioni più abusate è “per il bene del Paese”, trasversalmente utilizzata dai vari attori politici, protagonisti e non, che stanno prendendo parte alle consultazioni. Alla luce delle continue piroette di queste comparse, dobbiamo chiederci quanto può durare l’esercizio di fiducia dei cittadini nei confronti dell’espressione “per il bene del Paese“, e fino a che punto gli elettori riusciranno a considerare le azioni delle odierne istituzioni come atti improntati alla buona fede.
Se negli ultimi 14 mesi gli atti di alcuni rappresentanti delle istituzioni hanno mostrato il lato peggiore della politica, quella cattiva politica dell’opportunismo capace di sposare idee tra loro in contraddizione solo per brama di consenso, oggi i comportamenti registrati in questa fase di crisi non sono dissimili, hanno solo cambiato l’obiettivo, dal consenso alle poltrone.
È diventato difficile credere al “bene del Paese” quando i protagonisti sono fazioni tra loro incompatibili e che, nonostante si sforzino di mostrare benevolenza nei confronti del destino di questo Paese, non riescono a non fare prevalere le lotte interne rispetto al bene comune.
Ma alla retorica politica fa da contrappeso anche una dilagante demagogia che in questi mesi ha bucato la mente di molti elettori. Tant’è che la straordinarietà del nostro tempo è testimoniata dall’esistenza di chi vuole votare ogni volta che i sondaggi sono favorevoli al proprio partito, da un lato, mentre dall’altro c’è chi pretende una decisione sensata da parte di chi ha già avallato azioni disumane verso i più deboli. Volgarizzazione della sovranità popolare e distorsione della democrazia rappresentativa sono ormai fondamenti dell’incultura costituzionale.