Coronavirus: quanto è importante indossare la mascherina?

di Annibale Napolitano

Negli ultimi giorni, sul fronte delle misure di prevenzione, sono emerse nuove informazione su come prevenire al meglio il contagio grazie a nuovi studi sulle modalità di trasmissione del virus e l’uso delle mascherine.

Se come è vero che in Occidente si è da sempre cauti sull’uso delle mascherine, il professore Sui Huang, biologo molecolare e cellulare presso il prestigioso Institute for Systems Biology (ISB) di Seattle, nello Stato di Washington (Stati Uniti), in un lungo e importante articolo sulla rivista Medium, ha cercato di giustificarne la necessità dell’uso anche in Occidente. Lo scienziato afferma infatti che dove c’è l’abitudine di indossare le mascherine per proteggere gli altri anche in condizioni normali (quando circola la sola influenza, per intenderci), la curva del contagio è stata appiattita o è sempre stata più piatta sin dall’inizio. Questo sarebbe il caso dei Paesi asiatici.

Se l’obiettivo delle autorità sanitarie occidentali è quello di appiattire la curva, allora si deve abbandonare il pensiero in bianco e nero e abbracciare le sfumature di grigio: non possiamo più affermare che le mascherine non sono efficaci.

Lo studioso sottolinea che, sebbene le mascherine chirurgiche o quelle fatte in casa non siano “perfette” come quelle professionali dedicate ai soli operatori sanitari, ciò non significa che non possano farci del bene. Sulla base delle sue considerazioni, infatti, potrebbero “raddoppiare l’impatto dell’intervento non farmacologico (NPI)” nell’appiattimento della curva del contagio. Il metodo principale di trasmissione del COVID-19 è attraverso il droplet, ovvero attraverso le goccioline espulse quando si tossisce, starnutisce e si parla. È il motivo per cui viene richiesto il distanziamento di almeno un metro dagli altri. Huang sottolinea che queste goccioline possono essere suddivise in due grandi famiglie: quelle più piccole di 10 micrometri, il cosiddetto aerosol, e quelle più grandi (che possono superare 100 micrometri), chiamate “goccioline spray”. Le prime cadono a una distanza massima di 1.5 metri/2 metri, mentre quelle più grandi possono viaggiare anche dai 2 ai 6 metri di distanza, quando “sparate fuori” a una velocità di 50 metri al secondo con uno starnuto e di 10 metri al secondo con un colpo di tosse.

Con una semplice mascherina, spiega il professor Huang nella sua ricerca pubblicata su Medium, si impedisce a queste goccioline di fare questo tragitto e di contaminare l’ambiente e le altre persone. Citando uno studio olandese del 2008, il professore ricorda che l’aerosol espulso è risultato ridotto di quattro volte dopo aver attraversato una semplice mascherina chirurgica. Il risultato è ovviamente inferiore a quello ottenuto con una maschera FFP2 (equivalente della N95 americana), progettata per abbattere il 98% delle particelle espulse. Il filtraggio è comunque da non sottovalutare, tenendo presente che per le goccioline più grandi è ancora maggiore.

Poiché soltanto le goccioline più piccole possono raggiungere i polmoni, mentre quelle più grandi si fermano nel naso e nella gola, il professore si domanda: “Se tutto quello che vogliamo è rallentare la pandemia, ovvero appiattire la curva, la riduzione di 4 volte delle particelle che raggiungono i polmoni che impatto avrebbe nel ridurre la trasmissione da persona a persona?”. Lo studioso di Seattle sottolinea poi che sia le semplici mascherine chirurgiche che quelle fatte in casa in tessuto fai da te avrebbero un impatto positivo sul tasso netto di riproduzione (il famoso fattore R0) de COVID-19, ovvero il numero medio di persone che un contagiato può infettare. Combinando queste informazioni, “si può anche dedurre che la trasmissione del virus SARS-Cov2 avverrà principalmente attraverso le goccioline più grandi espulse da tosse e starnuti, che arrivano nel rinofaringe a causa delle loro dimensioni”, proprio dove c’è la maggiore concentrazione di ACE2, la proteina cellulare umana utilizzata dal virus per legarsi.

Ovviamente questa via di trasmissione potrebbe essere efficacemente bloccata da una semplice barriera fisica.

Poiché le grandi goccioline possono entrare nel naso e nella gola ma non direttamente nei polmoni, lo scienziato sostiene che evitarle potrebbe essere il metodo più efficace per prevenire l’infezione. Lo studioso conclude il suo ragionamento affermando che le maschere chirurgiche e quelle fai da te, se utilizzate in modo corretto, nella peggiore delle ipotesi non fanno male, in quella migliore possono essere di grande aiuto. Secondo Huang l’uso delle mascherine potrebbe aiutare ad appiattire la curva del contagio come il distanziamento sociale e il lavarsi le mani. I governi, nel post-emergenza da pandemia, dovrebbero quindi prendere in considerazione l’uso delle mascherine per tutti come compromesso tra il blocco totale dei lockdown e la “libertà” incondizionata che farebbe diffondere nuovamente il virus. Nelle conclusioni dello studio afferma poi che ” vi è ora una solida base scientifica per porre fine all’isteria ufficiale contro le mascherine protettive chirurgiche e per raccomandare o addirittura imporre un ampio uso di maschere come nei paesi asiatici che hanno piegato la curva”.

In conclusione, in Occidente siamo arrivati tardi nella distribuzione di mascherine e altri dispositivi di protezione individuali anche perché non abbiamo prodotto a sufficienza tali dispositivi atti a prevenire e a contrastare da subito l’emergenza. Ora la riconversione produttiva forzata delle nostre aziende è in atto: ma mai quanto questa volta nella storia sta avvenendo tutto in modo così repentino, sperando che repentino non diventi sinonimo di “improvvisato”.

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