“Oggi vi racconto una storia a lieto fine una storia consumatasi tra le mura del mio ospedale. E’ la storia di una bellissima bambina di 5 anni che 5-6 settimane fa ha incontrato il Covid“. Comincia con queste parole la bella storia raccontata da Vincenzo Tipo, primario del pronto soccorso dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli. “Insieme alla sua famiglia è rimasta contagiata, ma è stata assolutamente asintomatica e si è negativizzata in breve tempo – continua il dottore – Torna a giocare, è felice ma dopo circa 3 settimane compaiono febbre altissima, dolori muscolari, cefalea, congiuntivite e un violento dolore addominale. Viene portata di corsa in un ospedale della sua area di residenza e la diagnosi è peritonite“.
Qui le cose poi si evolvono in maniera grave: “Va subito in sala operatoria ma un medico illuminato decide di non operare e di trasferirla al Santobono. Non è convinto, qualcosa non gli quadra“. La bimba arriva allora al Santobono: “Accogliamo la bimba, sta maluccio e la sottoponiamo ad esami, radiografie, ecografie, visite specialistiche. Non abbiamo dubbi, si tratta di MIS-C (sindrome infiammatoria multisistemica correlata al Covid). Iniziamo quindi le terapie convenzionali ma niente, la bimba peggiora e aumentiamo i dosaggi modificando le terapie ed associando più farmaci“.
La situazione però non migliora e la terapia non risponde: “Il cuore inizia a dare segni di sofferenza, siamo a un passo dalla rianimazione. Ci presentiamo dalla madre, senza il coraggio di guardarla negli occhi, con un foglio in mano, ovvero il consenso ad una terapia cosiddetta off label. La madre chiede, è preoccupata ma firma, è disperata e percepisce l’ansia nei nostri gesti. In breve tempo il farmaco è in reparto, lo iniettiamo, è sera, torniamo a casa e lasciamo i cellulari accesi scambiandoci messaggi di continuo. Al mattino seguente siamo tutti lì e la collega del turno di notte ci accoglie on un sorriso perchè la bambina è finalmente sfebbrata“.
A quel punto inizia una lenta, lentissima ripresa: “La bambina riprende a mangiare, ad interagire, vuole disegnare. Passano i giorni ed i miglioramenti sono importanti, fino ad arrivare al momento del rientro a casa. È felice, sorride, vuole uscire ad abbracciare il padre. Restiamo un minuto con la mamma per salutarci, ci consegna i disegni della bimba, ovvero un foglio tutto nero. Rappresenta lo stato d’animo dei primi giorni, poi un disegno in cui ritrae medici e infermiere, poi disegna l’arcobaleno. Insomma, inizia a sentirsi meglio ed infine il ritorno alla normalità. Disegna lei stessa che gioca. Sfogliamo i disegni e gli occhi diventano lucidi e gonfi, troviamo una scusa per fare altro con la speranza di fermare la lacrima. La porta del reparto si chiude e la bambina e la madre entrano in macchina“.
Un ultimo saluto, poi riprende la normale attività, un’altra emergenza: “Il tempo di mettere a posto i documenti e chiama il 118, si è alzato in volo un elicottero da un’altra regione, ci stanno portando Francesco, 12 anni, febbre alta, troponina alle stelle, dolori addominali violenti, già positivo al Covid, sta male, un’altra MIS-C, allora affiliamo le armi. Dal Pronto Soccorso ci sta portando Tonia, 4 anni, stessa storia. Questo maledetto virus è subdolo e può far male, molto male, ad adulti e bambini, senza guardare in faccia a nessuno“.
“L’unica arma per fermarlo è il vaccino – conclude il dottore – Io mi vaccinerò, per me stesso, per la mia famiglia, per le persone a cui voglio bene, ma anche per Luisa, Francesco e Tonia. I bambini non dovrebbero mai conoscere il nero, hanno diritto a vivere una vita a colori. Consentitemi di ringraziare tutti i miei colleghi, il personale infermieristico e gli OSS che da mesi mi affiancano in questa esperienza indescrivibile. Professionisti di livello altissimo a cui si devono questo e tutti gli altri successi di tutti i giorni“.